Luogo:
Torino
Fonte:
La Stampa
Torino l’ateneo sfregiato
Viaggio a Palazzo Nuovo storico edificio dell’università dove l’occupazione pro-Palestina è sfociata in atti vandalici e scritte su muri, vetri e porte La preoccupazione fra i docenti: “Faremo la conta dei danni”
L’Intifada all’Università non si risparmia su nulla. Con le contestazioni, certo. Con la provocazione. Con i comunicati. Basta? Assolutamente no. Hanno scritto sui muri, sui vetri, sulle porte dei bagni. Dipinto un secondo murale dopo quello inneggiante la Palestina libera creato mesi fa, proprio nell’androne. Hanno usato parole che nulla hanno a che vedere con la pace, con la tolleranza, con la fratellanza universale. «L’unico soldato buono è il soldato morto» hanno vergato con spray nero in un angolo. Questa è la storia di un viaggio all’interno di Palazzo Nuovo, storico edificio delle facoltà umanistiche di Torino, che da quasi tre settimane un gruppo di studenti che hanno abbracciato la causa palestinese, occupano 24 ore su 24. L’Intifada universitaria – in parte replicata anche al Politecnico – non è soltanto lotta. E anche scritte sui muri e danni. A cui, un giorno, qualcuno dovrà porre rimedio. E allora vale la pena di partire dallo sfogo di un docente che, commentando i danni seguiti all’occupazione di novembre, disse: «Per fortuna non hanno danneggiato le attrezzature. In certe aule ci sono strumentazioni che valgono migliaia e migliaia di euro». E adesso com’è? «Lo verificheremo poi, quando tutto questo sarà terminato». Oggi, due settimane dopo il blocco delle lezioni, e oltre 60 mila studenti costretti a tornare allo studio online, il viaggio tra queste mura è un obbligo. E regala immagini che nulla hanno a che vedere con la protesta. Una passeggiata breve perché, chi non è un occupante, lì dentro è un nemico. E le foto che mostriamo in questa pagina sono soltanto una piccola testimonianza di quel che è accaduto. Nei bagni. Nei corridoi. Sulle scale che conducono al primo piano dove è stato realizzato un grande murale: una combattente con la bandiera palestinese in mano: «Free Palestine». Basta? No. Bagni al primo piano, la carrellata delle ragioni di rabbia è ampia. La Palestina fa da sfondo, forse. «Fuoco ai Cpr». Una «A» cerchiata dell’anarchia tracciata con spray rosso su un uscio. «Self Libero». «The only good nation is imagination». «Questo è soltanto maleducazione e vandalismo» sussurrano gli altri «gli esclusi», quelli che vorrebbero tornare a studiare. È un mix di tante cose oggi il palazzo delle facoltà umanistiche di Torino. Ma quel che salta agli occhi sono i danni. Per dire: a novembre durante le iniziative per denunciare le molestie in ateneo, vennero rovesciate latte e latte di vernice colorata nei gabinetti. S’è indurita e ha bloccato gli scarichi. Quando le lezioni sono riprese han dovuto intervenire gli operai. I cineforum la sera sono un dettaglio. Arriva gente da fuori, ma sono pochi. Molti più quando ci sono le feste ad alto tasso alcolico. Impedirle? Impossibile. La sola cosa vietata, entrando lì dentro, è parlare di attività accademica: «Se l’Università non ritira i bandi di collaborazione con Israele da qui non ce ne andiamo». Ma una mediazione? «Queste sono le condizioni, le nostre condizioni». Per intanto la sera si fa festa. Una decina di giorni fa è intervenuto il dj Cosmo: musica e slogan urlati al microfono «Free Palestine». Chi c’era racconta di almeno 500 persone presenti. Di drink venduti: «Ma non mi ricordo a che prezzo» e di una spaghettata finale. Cucinata dove? E poi c’è un aspetto politico, più violento, più strisciante. Tre immagini per capirlo. Porta del bagno al primo piano: un kalashnikov disegnato e la scritta: «Ci serve spazio». Corridoio dell’ingresso. Su un pilastro hanno scritto in blu: «Macelleria Mussolini, specialità insaccati appesi». L’ultimo scatto accanto all’ascensore «Meloni fascista». Fine. Per fortuna c’è chi prova a fare ironia. Con pennarelli rossi hanno scritto nei bagni: «Il Governo spende milioni in armi. E qui manca pure la carta igienica». C’è un errore di comunicazione in tutto questo: il palazzo è occupato, quelli della manutenzione non entrano. Andrebbe portata da casa. di Lodovico Poletto
Photo Credits: La Stampa