Luogo:
Como
Fonte:
Corriere della Sera
Minacce e insulti omofobi La banda dei cyberbulli nel liceo «bene» di Como
La vittima ha dovuto cambiare scuola. A processo tre ragazzi
La chat Octopussy carica di odio, offese e minacce è divenuta prova regina al processo per bullismo di tre ragazzi di Como che avevano 17 anni all’epoca dei fatti. Ieri il giudice del Tribunale dei minori di Milano ha deciso il loro rinvio a giudizio per una lunga serie di intimidazioni nei confronti di un compagno di scuola bollato come «diverso» e dunque sottoposto a una pioggia di avvertimenti para mafiosi tipo «gli spavaldi come Luca (nome di fantasia della vittima, ndr) sono i migliori da accoltellare» o immagini raccapriccianti come la foto della testa mozzata di un cane per finire alle offese gratuite e agli epiteti boccacceschi. Conclusione: il giovane bullizzato è stato costretto a cambiare abitudini e perfino la scuola, un liceo scientifico privato, teoricamente elitario e a trasferirsi altrove assieme alla sorella. Le chat, secondo i magistrati, sono la prova di una serie di atti di cyberbullismo nei suoi confronti. I fatti si verificano tra settembre 2020 e marzo 2021, dunque sette mesi di passione. «Qui c’è qualcuno — scriveva uno dei tre bulli — che vuole un colpo di Ak (fucile da guerra, ndr) nell’arteria». In precedenza uno dei bulli «chiariva che avrebbe usato un calibro 9 millimetri». I tre che chiameremo Alex, Andrea e Gianni «con messaggi minacciosi, omofobi antisemiti e inneggianti al fascismo cagionavano a Luca un grave stato di ansia e di timore per la propria incolumità» scrive la pm Sabrina Ditaranto nella richiesta di rinvio a giudizio. Ma qual è stata la causa scatenante? Non c’è stata una scintilla. L’autonomia di pensiero di Luca, assistito dall’avvocato Alessandro Gentiloni Silveri, sembra irritare i compagni di scuola. Uno di loro scrive: «Siamo in una società costruita in un altro modo non esiste il libero arbitrio». Luca si dice di sinistra? I bulli gli inviano foto di falce e martello con una sedia a rotelle evocativa. Lo sospettano di omosessualità? Prontamente gli fanno avere un video «in cui una bandiera Lgbt veniva bruciata». Martellanti le aggressioni nei confronti del ragazzino. Spesso sono minacce di morte, altre volte insinuazioni pesanti. Alex, in particolare, esorta i compagni a «menarlo forte»; a «schiacciarlo con il trattore»; a «spatasciargli la testa». Promette di investirlo con la macchina (inviando «la foto di un’auto con il cambio a forma di svastica e la scritta “a tutto gas”») Suggerisce agli altri compagni spedizioni punitive nei suoi confronti. II ragazzino è spaventato. Nessuno a scuola sembra rendersi conto di ciò che sta subendo. In famiglia però, lentamente, affiorano i fatti. I genitori decidono di presentare denuncia e la Procura presso il tribunale dei minori inizia ad approfondire tutte le circostanze che hanno portato al suo disagio. Il salto di qualità si compie nel momento in cui gli investigatori acquisiscono gli screenshot delle chat. Compaiono scambi brutali in un linguaggio bellicoso e razzista, intervallato da semplificazioni e condito da imprecazioni. Qualcuno come Alex ammette la propria inclinazione alla sopraffazione: «Tu mi stai simpatica perché mi spingi alla violenza verbale» dice. Altri teorizzano stili autoritari arrivando a citare «la dichiarazione di guerra di Mussolini il io giugno 1940» e invitando il compagno a «tirar fuori le palle da fascista». Gli agenti della squadra mobile ascoltano i suoi aguzzini. Quelli ridimensionano i fatti, abbozzano spiegazioni ma intanto offrono conferme. Luca è stato svillaneggiato e intimidito in quanto percepito come un ragazzo differente dal gruppo. Un adolescente con idee proprie. Le scuse non sono mai arrivate, adesso però si celebrerà un processo. di Ilaria Sacchettoni