Fonte:
Moked.it
Autore:
Gadi Luzzatto Voghera
…cartelli
Si ripropongono con una certa costanza gli esempi di uso ed abuso dell’ebreo sulla scena pubblica italiana. Due recenti episodi in Veneto hanno direttamente a che fare con la volonterosa applicazione delle leggi razziali del 1938 e la permanente difficoltà da parte di alcuni settori della nostra società civile a fare i conti con questa particolare eredità. Nel primo, la giunta comunale di Noventa Vicentina ha deliberato nei giorni scorsi di assegnare a una strada il nome di Giorgio Almirante. Fra le motivazioni che hanno spinto a questa scelta viene esplicitamente citata l’amicizia del personaggio in questione con un ebreo che venne da lui aiutato, e che alla fine della guerra ricambiò il piacere fornendogli rifugio. Nella biografia celebrativa si omette completamente il fatto che Almirante ricoprì il ruolo di redattore capo della “Difesa della Razza”, la rivista edita dal fascismo con il preciso intento di diffondere fra gli italiani una solida cultura razzista (impresa che sembra aver avuto un qualche visibile successo). Al netto di polemiche politiche sul vecchio revanchismo di alcuni dirigenti di estrazione neofascista che provano surrettiziamente a riabilitare personaggi impresentabili, noto con un certo allarme il fatto che gli ebrei vengano usati come foglia di fico per ripulire e rendere presentabili protagonisti del fascismo italiano che non meritano di essere celebrati.
Diverso l’episodio accaduto nell’ambito delle manifestazioni per i 500 anni del Ghetto di Venezia. A latere dell’importante riproposizione del processo a Shylock che si è svolta presso la scuola grande di san Rocco e che ha meritato gli onori di una particolareggiata cronaca sulle pagine del New York Times, uno degli sponsor della manifestazione, Arrigo Cipriani, ha voluto dare risalto al suo impegno economico celebrando il suo famoso aperitivo Bellini e ricordando il ruolo della sua “casa madre”, il rinomato Harry’s Bar di Piazza san Marco. Tutto giusto, se non fosse per il fatto che forse – ma si tratta di un’opinione personale – si sarebbe dimostrato maggior buon gusto nel ricordare che quel luogo centrale della socialità veneziana con le leggi razziali espose l’ignobile cartello con la scritta “vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei”. Da allora, anche dopo la guerra gli ebrei veneziani hanno accuratamente evitato di metterci piede, nonostante il fatto che la proprietà abbia pubblicamente accreditato una narrazione inversa, che costituirebbe un unicum nella storia del fascismo, dove non risulta che le autorità fasciste imponessero a tutti i locali l’esposizione del cartello suddetto. Secondo il sito web del bar, il luogo sarebbe stato considerato porto sicuro per omosessuali ed ebrei, e quindi l’apposizione del cartello venne imposta alla proprietà (riluttante) dalle autorità fasciste. Che sia valida l’una o l’altra versione poco importa. Quel cartello fu esposto, e gli ebrei veneziani se lo ricordano più che bene. Oggi, a fronte di un evento pubblico di rilievo internazionale dove uno dei temi discussi è stato proprio l’antisemitismo, un ricordo di questo episodio e una sua esplicita condanna da parte della proprietà – che è la stessa del 1938 – sarebbe stata apprezzata e avrebbe dato di certo un valore aggiunto all’intera iniziativa. Il silenzio, al contrario, testimonia di una diversità di interpretazioni che ancora fatica ad essere superata.