Fonte:
Shalom.it
Autore:
Victor Fadlun
L’importanza di affermare la nostra identità
È stato un anno lungo e dolorosamente intenso. Un anno, dal 7 ottobre 2023, che lascerà un segno nelle nostre vite. Che ci ha costretti a scelte difficili e indotto a rivedere il nostro rapporto col mondo. A ridisegnare la mappa dei nostri amici veri, e di quelli che non lo erano veramente. Un anno che ci ha messo a dura prova, a livello individuale e come comunità.
Per la nuova Giunta della CER e per la sua presidenza, che si era da poco insediata, è stata una sfida più impegnativa rispetto a tutte le precedenti degli ultimi anni, e alla quale abbiamo cercato di rispondere nel modo più giusto. Con forza e responsabilità. Abbiamo espresso la nostra rabbia per l’enormità di quanto è successo dal 7 ottobre in poi, cercando però di mantenere la lucidità e l’equilibrio di cui c’era bisogno. L’obiettivo è sempre stato quello di creare attorno a Israele e alla Comunità Ebraica di Roma il massimo appoggio e consenso.
Tutti ricordiamo l’impatto delle immagini che ci sono arrivate attraverso i social e la tv, nella maniera più cruda e meno mediata. Quella mattina ci è stato subito chiaro che nulla sarebbe stato più come prima. Dopo decenni di educazione alla memoria, di iniziative per sradicare l’antisemitismo e costruire una convivenza normale, abbiamo improvvisamente dovuto far fronte a qualcosa che ancora oggi non è possibile definire esattamente, per la sua assoluta disumanità: la precisa e minuziosa volontà di annientare gli ebrei e Israele, causando immani sofferenze.
A questo delirio di odio e violenza è seguito in tutto il mondo il paradosso di un aumento vertiginoso degli episodi di antisemitismo. Anche in Italia. Anche a Roma. Noi stessi siamo stati investiti da un’ondata di vecchi cliché antiebraici, un rigurgito di pregiudizi che non sembravano più possibili. Nelle strade di Roma sono risuonate, nei cortei pro-Palestina, frasi il cui significato a noi è del tutto evidente. “Palestina libera dal fiume al mare. Morte all’ebreo!”.
Ci siamo svegliati con l’oltraggio alle pietre d’inciampo. A intellettuali e giornalisti ebrei, anche della nostra comunità, si è cercato (riuscendoci, a volte) di vietare la parola nelle Università. Abbiamo assistito alla ripresa del boicottaggio contro la cultura e i prodotti israeliani. Alla decisione, in alcuni casi, di mettere fine alle collaborazioni universitarie con prestigiosi atenei di Israele. Ci siamo dovuti attrezzare per garantire la sicurezza della comunità, senza mai arrenderci e tanto meno interrompere la normale vita ebraica. Abbiamo attivato un filo diretto e costante con le autorità e i responsabili dell’ordine pubblico. Le istituzioni ci sono state vicine. Con le nostre prese di posizione sui media, come Comunità Ebraica di Roma abbiamo ottenuto il rinvio, nel Giorno della Memoria, dei cortei anti-Israele. Quella era una odiosa e inaccettabile provocazione, e non l’abbiamo fatta passare.
Abbiamo promosso e curato la manifestazione del 5 dicembre 2023 “No antisemitismo, no terrorismo”, portando in Piazza del Popolo migliaia e migliaia di persone, dai vertici politici e istituzionali alla gente comune. Abbiamo organizzato flashmob: i passeggini in Piazza del Campidoglio, il compleanno di Kfir Bibas in largo Stefano Gaj Taché, la tavolata con oltre 200 posti vuoti per il ritorno degli ostaggi. Abbiamo intensificato gli eventi ufficiali e accolto il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz.
Ricordo in particolare gli incontri, profondi e commoventi, con le famiglie degli ostaggi. È nato un legame indissolubile, fra gli altri, con la famiglia Regev. Papà Ilan ci ha fatto ascoltare la telefonata con sua figlia, ferita e intrappolata nel deserto del Nova Music Festival. Abbiamo ascoltato le grida di aiuto di Maja in mezzo ai corpi senza vita dei suoi amici. Ilan le diceva di fingersi morta. In quel momento abbiamo sentito passare sopra di noi l’alito gelido della crudeltà, della barbarie e dell’odio antisemita che si sono scatenati il 7 ottobre, ma che provengono da un passato non troppo lontano. Di nuovo presente.
Ricordo come il nostro cuore si sia aperto quando abbiamo saputo che Maja e suo fratello Itay erano vivi ed erano tornati a casa. Ilan Regev, memore del calore con cui lo avevamo accolto, è voluto tornare da noi a Roma, con suo figlio. Li abbiamo potuti abbracciare in una serata di straordinaria commozione e felicità. Eravamo, siamo, una famiglia.
Il 7 ottobre ci ha insegnato molte cose importanti, che avevamo in parte dimenticato: l’importanza di coltivare e preservare la nostra identità, la condivisione che ci lega a tutte le comunità ebraiche del mondo, il valore di affrontare uniti il momento del pericolo. L’amore per i nostri fratelli che soffrono e combattono in prima linea. L’amore per Israele. E la consapevolezza che l’antisemitismo esiste ancora. Un monito, questo, che ci arriva dai nostri avi, dalle nostre vicende personali e familiari, dalla storia, ma che avevamo pensato di poter accantonare e silenziare. E che si è dimostrato, invece, attualissimo.
Il 7 ottobre è un buco nero della storia. Si aggiunge alle sciagure e aggressioni che il nostro popolo ha subìto nel suo cammino millenario, ma dalle quali si è sempre rialzato con rinnovata forza e determinazione. Il messaggio di oggi è semplice. “Dal fiume al mare”, Israele c’è. E, se D-o vuole, sempre ci sarà.