Fonte:
Il Foglio
Autore:
Lucetta Scaraffia
Gesù e la kefiah
E’ un problema se in Vaticano imbarazza il legame dei luoghi santi con le radici ebraiche
Ultimamente due segni ci indicano come la comunità cattolica stia volontariamente cancellando il suo legame con le radici ebraiche. Quest’anno in Vaticano nell’Aula Nervi c’è un presepe offerto dai palestinesi, e si vede, o meglio si vedeva, il Bambinello adagiato su una kefiah. Infatti proprio ieri, dopo alcune polemiche, il bambinello palestinese è stato rimosso, ma rimane a imperitura memoria sui media una foto di papa Francesco che lo ammira senza curarsi della implicazione politica che questo comporta. Ma non è certo un caso isolato. Già dieci anni fa, a Betlemme, in occasione del viaggio papale, la scena della natività era stata resa palestinese: Giuseppe aveva il capo coperto dalla kefiah e con lo stesso scialle era avvolto il piccolo Gesù. Secondo segnale: intorno a una serie Netflix dedicata alla Madonna, in onda in questi giorni prenatalizi, si è sollevato un dibattito provocato dal fatto che l’attrice interprete di Maria, incredibile a dirsi, è ebrea, e non palestinese, come evidentemente molti pensano che dovrebbe essere. Il motivo per cui dovrebbe essere palestinese come il presepe vaticano è chiaro: al di là di ogni realtà storica – gli arabi hanno occupato la Palestina sei secoli dopo la nascita di Gesù – quello che conta è ribadire che il cristianesimo è comunque dalla parte delle vittime, quindi dei buoni, cioè dei palestinesi. Sembra quasi che i cristiani si vergognino delle loro origini ebraiche. Nessuno ama ricordare, in questa atmosfera di guerra, che i principali luoghi santi cristiani si trovano tutti in Israele, e che proprio a causa della guerra i pellegrinaggi sono molto difficili o preclusi. Si parla molto invece della minuscola parrocchia cattolica di Gaza, alla quale Papa Francesco dice di telefonare ogni sera e che certo non se la passa per niente bene, ma che probabilmente non era molto al sicuro neppure sotto Hamas. I veri cristiani, dunque, sarebbero quelli di Gaza, mentre il palese legame dei luoghi santi con le radici ebraiche costituisce fonte di imbarazzo. Del resto, perfino essere cristiani sta diventando imbarazzante, qualcosa da tener nascosto quasi che fosse da vergognarsene. Non è infatti tragicamente vero che si parla poco del destino dei cristiani nel mondo, dove costituiscono il gruppo religioso più perseguitato? Dappertutto si preferisce invece fare finta di niente. Viene quasi il sospetto che per molti non costituisca un fatto così grave: i cristiani sono comunque legati al mondo occidentale dei colonizzatori bianchi; dopotutto non è male che scompaiano. Da tempo perfino il Papa non nomina i cristiani perseguitati e pare credere fiduciosamente che gli islamisti ormai al potere in Siria tratteranno i cristiani con il massimo rispetto. Sembra non ricordare che poco tempo fa analoghe promesse erano state fatte dai talebani afgani. Il presepe palestinese, a guardar bene, è solo un tentativo disperato non già di allearci con le vittime, bensì di accattivarci le simpatie di quelli che stanno diventando i possibili futuri vincitori, dei quali sono ben note le simpatie verso la religione cristiana. Speriamo di ingraziarceli facendo finta di non avere niente a che fare con gli ebrei: una strada che, come si sa, può portare molto lontano.