Fonte:
La Svolta
Autore:
Costanza Rizzetto
In Europa non c’è mai stato così tanto odio online come ora, e né i social media né le istituzioni fanno abbastanza per fermarlo.
È questo quanto emerge dall’ultimo report della European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) focalizzato su libertà d’espressione, reati d’odio diffusi in rete e sulle nuove sfide che l’Unione Europea deve affrontare in materia di sicurezza e rispetto dei diritti umani nell’era digitale.
Passando in rassegna oltre 350.000 post pubblicati suReddit, Telegram, X e YouTube in Bulgaria, Germania, Italia e Svezia (“i quattro Paesi sono stati selezionati in quanto rappresentativi dell’attuale spaccato sociale europeo. Quanto ai social, sono stati scelti, tra i più popolari, quelli che condividono i propri dati: abbiamo provato ad avere accesso ai dati di Facebook, ma non ci è stato possibile” hanno spiegato da Vienna), i ricercatori hanno registrato che oltre il 53% conteneva commenti razzisti, frasi misogine, insulti xenofobi, e/o incitamenti a odio e violenza. Questo, senza che nessuno – né le autorità di controllo preposte dai social media, né le istituzioni nazionali o europee – fosse mai intervenuto in qualche modo per rimuoverli, e ciò nonostante le innumerevoli segnalazioni probabilmente ricevute dai destinatari degli insulti o dagli altri utenti delle piattaforme.
In tutti e quattro i Paesi, i soggetti più colpiti dall’odio online sono le donne: di tutti i post e i commenti analizzati, infatti, il 35% contiene frasi misogine, molestie o incitamenti alla violenza sessuale o di genere. A seguire, in quest’ordine, sono destinatari di insulti e offese gli individui originari o provenienti dagli Stati dell’Africa, i soggetti e le famiglie di etnia sinti o rom e la popolazione di tradizione ebraica (come riporta il The Guardian in una recente inchiesta, tuttavia, a seguito dello scoppio del conflitto tra Israele e Hamas questo ultimo dato sarebbe in decisa e costante crescita).
Quanto al contenuto dei post identificati come offensivi, si tratta per la maggior parte di insulti diretti, indirizzati verso persone specifiche: personaggi noti o conosciuti, ex fidanzate/i, conoscenti, ma anche individui sconosciuti a chi li insulta, che si imbatte nei loro profili social in circostanze più o meno casuali. Sono presi di mira però anche intere categorie di individui.
Allo stesso modo, non mancano i post denigratori di portata più generale: tra questi, i più diffusi fanno riferimento a stereotipi di matrice xenofoba e razzista, seguiti dalle dichiarazioni di odio rivolte a popoli o etnie, e dai post di minaccia e istigazione alla violenza – fino a sconfinare, in alcuni casi, a interi post di incitamento al vero e proprio sterminio di intere popolazioni.
Tra i social presi in analisi dallo studio, quello su cui si registrano più contenuti d’odio è di gran lunga X, l’ex Twitter di Elon Musk: del resto, è di pochi giorni fa la notizia dell’inchiesta avviata dalla Commissione Europea per accertare la compliance del social media al Digital Services Act, norma europea che dal 2022 obbliga le piattaforme online a intervenire per prevenire e contrastare l’odio e la disinformazione in rete al fine di creare uno spazio digitale più sicuro e in grado di proteggere i diritti fondamentali degli utenti. Cosa che il colosso di Musk non avrebbe fatto, ignorando al contrario le innumerevoli segnalazioni di commenti d’odio e minacce da parte degli utenti del social network.
Atteggiamento che avrebbero tuttavia adottato, seppur in minor misura, anche gli altri social media passati sotto la lente della European Union Agency for Fundamental Rights: in generale, infatti, il report FRA mostra come ci sia pochissimo controllo sui contenuti dei post che vengono quotidianamente pubblicati e condivisi sulle piattaforme, e che di fatto la probabilità che un commento d’odio o un insulto diffuso online venga rimosso dalle autorità di controllo è molto inferiore rispetto alla quantità di minacce, frasi razziste e incitazioni xenofobe postate ogni giorno sui social.
Il motivo? Secondo lo studio, il problema principale che riguarda la diffusione dell’odio online è che non esiste, a oggi, una definizione di “discorso d’odio” comunemente accettata dagli Stati europei. Quali sono i commenti e le frasi che rientrano nella nozione di hate speech – e quali invece le manifestazioni della libertà di espressione di chi scrive – riconosciuta come diritto fondamentale di ogni individuo? In Unione Europea, questo ancora non è chiaro.
Oltre a ciò, altri problemi messi in luce dal report, che mettono in discussione la capacità dei social media e delle istituzioni europee di garantire agli utenti UE adeguata sicurezza sui social media, riguardano: la formazione delle forze di polizia, sia nazionali che europee (nel 2023, gli agenti di polizia non sarebbero ancora adeguatamente formati in materia di sicurezza e digitale); l’assenza di tecnologie adeguate e in grado di individuare contenuti d’odio attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale; uno scarso coinvolgimento della società civile nella creazione di una nuova consapevolezza a proposito di lotta ai discorsi d’odio e responsabilità per i comportamenti online.
«La quantità di odio che abbiamo trovato sui social network mostra chiaramente come sia davvero arrivato il momento, per l’Unione Europea, gli Stati membri e le piattaforme digitali, di agire seriamente per la sicurezza di internet e dei social media, garantendo maggiore sicurezza e più rispetto dei diritti di chi li utilizza – ha dichiarato Michael O’Flaherty, direttore del FRA in occasione della conferenza stampa di presentazione del report. – Nel 2023, è inaccettabile che su internet si debbano ancora leggere minacce e insulti razzisti, frasi misogine e incitamenti all’odio e alla violenza. Allo stesso modo, è inaccettabile che le persone, sui social, vengano attaccate in ragione del proprio sesso, del colore della pelle o della religione, e questo senza che nessuno faccia niente».
In altre parole: per quanto riguarda le piattaforme online e i contenuti postati su internet, l’Unione Europea è ancora ben lontana dal garantire standard di rispetto dei diritti e di sicurezza adeguati, in grado di proteggere davvero chi questi social li usa ogni giorno. E il lavoro da fare è ancora tantissimo.