17 Luglio 2024

Torino, perdonati i giovani gestori della chat antisemita e neonazista “Shoah party”

Fonte:

La Stampa

Autore:

Elisa Sola

Esaltarono la Shoah

ma evitano il processo

“L’attesa è una pena”

I giudici: “Quei ragazzi hanno pagato con una gogna lunga cinque anni” Eliminata anche l’opzione della messa in prova: inutile perché tardiva

Cinque anni di attesa per arrivare al processo sono già, di per sé, una pena. Soprattutto se gli indagati hanno 14 e 15 anni. Quindi, anche se gli imputati hanno commesso reati gravi — come l’esaltazione del nazismo —vanno perdonati. Non ci sarà nessun processo per loro. Perché hanno già vissuto un’attesa lunghissima con l’angoscia dello stigma. Nella condizione di essere stati «abbandonati al loro destino». «Abbandonati» è la parola usata dai giudici del tribunale dei minorenni di Firenze nella sentenza che spiega perché a tutti 1 19 indagati è stato concesso il perdono giudiziale. Avevano fondato la chat che aveva sconvolto l’Italia. Bastava il nome a fare venire i brividi: “The Shoah party”. Un agglomerato di messaggi dell’orrore. Svastiche, inni a Mussolini e a Hitler. Esaltazione del nazionalsocialismo, del genocidio degli ebrei. Immagini raccapriccianti con sevizie su donne e bambini. Foto e video rimbalzavano da Torino all’Aquila. Da Soverato a Roma. Ai carabinieri di Siena che avevano scoperto la chat, gli adolescenti —di cui molti figli di professionisti e adulti benestanti — avevano detto: «È umorismo nero». Il tribunale dei minorenni di Firenze invece non ha dubbi: sono stati commessi reati «oggettivamente e inconfutabilmente gravi». Non c’è altro modo per giudicare commenti antisemiti, razzisti e crudeli. Quello che la madre di uno degli indagati, i lacrime, con gli inquirenti aveva definito «un inferno». Questi sono i fatti. Ma poi c’è il resto. L’iter di una giustizia così lenta da vanificare tutto. Anche l’orrore. Anche il diritto ad essere rieducati. Dopo cinque anni dai fatti contestati, spiegano i giudici, il perdono giudiziale è la «soluzione più corretta». Eliminata l’opzione della messa alla prova, perché tardiva e quindi inutile, i giudici hanno ritenuto ingiusto processare gli indagati cinque anni dopo. Perché si tratterebbe di «una soluzione incompatibile con la ragionevole durata del processo penale e con la particolare esigenza di celerità dei processi a carico dei minorenni». Ecco perché il perdono giudiziale resta, secondo i magistrati, l’unica scelta percorribile. Cinque anni rendono inevitabile la scelta del perdono anche perché, in questo tempo, sottolineano i giudici, «tutti i minorenni sono diventati maggiorenni, affrontando un percorso ben più arduo rispetto a quello dei loro coetanei». «Sono maturati e cresciuti, hanno capito», aveva detto in udienza l’avvocato difensore Stefano Tizzani. «Hanno fatto un errore — precisa il tribunale nelle motivazioni della sentenza — ed è stato un errore grave. Ma hanno comunque pagato un prezzo, perché per cinque anni hanno dovuto crescere con la consapevolezza di dovere affrontare un processo penale particolarmente insidioso, in quanto basato su accuse per fatti inevitabilmente connotati da un profilo deplorevole». È come se il tempo della formazione, del passaggio alla vita adulta, fosse stato cancellato. Il tribunale riconosce anche il fatto che in questi anni di attesa e di angoscia, i ragazzini hanno cambiato vita. Alcuni hanno studiato. Altri hanno iniziato a lavorare. Molti hanno hanno fatto volontariato. Quasi tutti sono andati dallo psicologo. «Ordinare una messa alla prova adesso, costituisce di fatto una sorta di espiazione che appare più sanzionatoria che effettivamente formativa», precisa il tribunale. Prima di scrivere la frase forse più dura: «Se i tempi del procedimento penale si protraggono per difficoltà oggettive, si deve prendere atto che per alcuni aspetti il minorenne è stato lasciato al suo destino. Qualsiasi soluzione formativa compiuta dopo così tanto tempo ha perso ormai il suo effettivo valore». Una frase da cui trapela un senso di fallimento collettivo. «Trascorsi cinque anni di tempo – è quanto segue – i ragazzi coinvolti sono oggettivamente maturati affrontando un percorso ben più impegnativo, per cui vi sono tutte le condizioni per chiudere con una sentenza di perdono giudiziale questa triste vicenda, per dare loro la possibilità di lasciarsi alle spalle le conseguenze di un errore grave ma ormai lontano nel tempo». Esiste un diritto alla riabilitazione. Alla cancellazione del passato, se serve. «Era nato come un gioco – aveva detto un tredicenne all’inizio dell’indagine – si doveva solo ridere e scherzare. Poi tutto è sfuggito di mano». E sfuggito di mano anche il senso del tempo. E il tempo stesso. Gli anni sono passati. Le vite sono rimaste paralizzate. Insieme alla giustizia.

Photo Credits: La Stampa