16 Maggio 2024

Torino, intervista alla professoressa Terracini unica rappresentante del senato accademico ad opporsi al boicottaggio contro lo Stato di Israele

Fonte:

Avvenire

Autore:

Diego Motta

«Ma per loro Israele non deve esistere»

La professoressa Terracini ha votato no al boicottaggio di Tel Aviv: ho ricevuto tantissima solidarietà

Il racconto di Susanna Terracini, unica docente a opporsi al boicottaggio di Israele quando il Senato accademico dell’Università di Torino votò sugli accordi il 19 marzo scorso, comincia dal giorno dopo. «A seguito della mia posizione, ho ricevuto tantissimi messaggi di solidarietà, alcuni dei quali da persone insospettabili. Ora mi fanno sorridere, la verità è che alla prima irruzione degli studenti dei collettivi nella mattinata, fummo tutti presi alla sprovvista». Due mesi dopo la protesta è cresciuta, più che nei numeri nella copertura mediatica, e non si è affatto ridotta la portata rivendicativa dei ragazzi, sempre più decisi a schierarsi con la causa palestinese. «Quel che vedo con preoccupazione è l’acquiescenza di un certo mondo accademico, di fronte invece all’indisposizione al dialogo dei più giovani – osserva la direttrice del Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino -. In ogni caso, qualcosa da allora è cambiato».

Ricostruiamo quella giornata, innanzitutto.

E stata una situazione un po’ inattesa. Le rappresentanze degli studenti hanno fatto irruzione con i loro striscioni nella seduta del Senato a metà mattina, il rettore ha concesso loro il tempo di spiegare le loro ragioni. I ragazzi non erano affatto aggressivi, a prescindere dagli slogan violenti verso Israele e non verso di noi. Sono poi usciti, per tornare alla riunione informale nel pomeriggio a cui erano stati invitati. Al punto “varie ed eventuali” dell’ordine del giorno, si è posto il problema della mozione degli studenti. Poi c’è stata quella foto, scattata nei pochi secondi in cui i giovani erano in Senato con i loro striscioni. Quell’immagine ha avuto certo un forte impatto nell’opinione pubblica.

Per tanti, è stato il simbolo di un legame inaspettato tra corpo docente e collettivi studenteschi.

Penso che in quel caso abbia prevalso il desiderio di non voler provocare una frattura dentro l’ateneo… l’università è una comunità, ma certamente in questa vicenda la mediazione trovata è stata maldestra. Si è deciso di seguire la corrente, arrivando a una formulazione ambigua che di fatto è stata letta come una vittoria del fronte studentesco. Soltanto poche settimane dopo, il Politecnico di Torino ha approvato una mozione molto più equilibrata, che rigettava le richieste di boicottaggio dei collettivi e faceva ampiamente riferimento ai valori della Costituzione. Sarebbe bastato poco… La verità è che era passato un mese e credo che questo, col senno di poi, per molti sia stato un fatto decisivo: oggi i testi approvati dagli atenei riflettono meglio quella che è la posizione dell’accademia, oltre a garantire la conferma delle intese bilaterali.

Sta dicendo che oggi la comunità accademica è più pronta a gestire le tensioni legate a Israele, rispetto al “post 7 ottobre”?

Si, ora insieme all’uccisione di massa dei civili a Gaza si deplora anche la detenzione dei civili e il ricatto degli ostaggi da parte di Hamas. Eppoi si riconosce l’importanza della collaborazione scientifica e il suo ruolo nella mitigazione dei conflitti. Resta invece un importante questione semantica non risolta, ma riguarda gli studenti.

A cosa si riferisce?

Condividiamo tutti lo sconcerto e l’indignazione per il livello di brutalità a cui è arrivata la guerra in Medioriente, però non si può accettare una narrativa che resta di parte: il collettivo “Cambiare Rotta; che guida la cosiddetta Intifada negli atenei, usa un linguaggio mutuato da Hamas e ne richiama i toni antisemiti. Perché ci si continua a dichiarare antisionisti e non anti-israeliani? Semplicemente, perché Israele per questi movimenti non deve esistere. Non si pub nominare. Punto. Ci si schiera contro la cosiddetta “entità sionista; senza aggiungere altro. Ma questo significa avallare la violenza, almeno dal punto di vista verbale.

Eppure si tratta di un’esigua minoranza, non crede? Cosa pensa la maggioranza silenziosa degli studenti che viene a lezione?

C’è preoccupazione, ma anche voglia di andare avanti. Si ha sempre l’impressione che qualsiasi azione negli atenei punti a non disturbare i collettivi e questo non va bene. Si riparta dalle parole di Mattarella e del Papa, che hanno indicato una via chiara: non è con l’incitazione all’odio e alla violenza che possiamo uscire da queste tensioni.

Photo credits. Avvenire