Fonte:
La Repubblica edizione di Torino
Autore:
Sarah Martinenghi
Crearono la chat “Shoah Party” il giudice concede il perdono
Il tribunale non condanna gli imputati, all’epoca minorenni, perché riconosce che sono maturati e hanno ben compreso il grave errore commesso con quei messaggi inneggianti all’odio e al razzismo
Immagini di una violenza atroce postate e condivise senza alcun filtro e spirito critico. Fotografie e filmati raccapriccianti, stupri di donne e bambini, accompagnati da bestemmie e commenti più beceri. Mutilazioni, torture, decapitazioni. E tanto odio: contro gli ebrei, gli immigrati, i disabili, le persone malate di leucemia, o i bimbi affetti da sindrome di down. Esaltavano Hitler e postavano bambini africani intenti a bere in una pozzanghera commentando: «Minchia il Nesquik». Si chiamava the “Shoah Party” e già il nome del gruppo evocava l’orrore. Ma fu uno shock scoprire, 4 anni fa, che dietro a quella chat su whatsapp c’erano anche 19 minori, di cui 4 del torinese. E due di loro erano i creatori e gli amministratori del gruppo: due adolescenti che pensavano di dar vita a qualcosa di divertente, con sticker e meme di dubbia ironia, per rimanere invece travolti dall’abisso del male, postato e condiviso da centinaia di adulti e ragazzini. All’epoca avevano 14 e 15 anni, ora sono ventenni che studiano, lavorano, c’è chi è diventato campione nello sport e chi insegue il sogno di una laurea universitaria. Ieri davanti al tribunale dei minori di Firenze si è chiuso il capitolo giudiziario con una parola che sembra difficile da pronunciare per tutto quell’orrore: “perdono”. Si tratta di perdono giudiziale con rinuncia alla condanna. Ma dietro alla decisione del giudice c’è il percorso fatto in questi anni, l’aver compreso gli sbagli. Una consapevolezza critica che segna la distanza tra un passato che non può macchiarli per sempre e un futuro all’insegna di valori recuperati. «Il giudice ha preso atto delle relazioni dei servizi e che c’è stata un’effettiva presa di coscienza: proprio perla loro giovanissima età non avevano compreso le conseguenze delle loro azioni – commenta l’avvocato Stefano Tizzani -questa vicenda è servita per comprendere il disvalore di quanto accaduto seppur limitato a quella chat. Ora sono cresciuti e più maturi». Basta leggere il capo d’imputazione per rimanere sgomenti. La procura, nel riportare quello che i carabinieri di Siena avevano scoperto grazie alla denuncia di una mamma, parla di <‘sistematico interscambio di immagini e filmati pedopornografici, con commenti e slogan, in cui si istigava all’odio razziale, a dittature sanguinarie, con immagini di Hitler e simboli nazi-fascisti, esaltando la violenza, la discriminazione, l’odio, il sessismo, l’omofobia, il maschilismo, il maltrattamento familiare, la violenza di genere, l’infanticidio, l’antisemitismo, l’omicidio, il suicidio, la blasfemia, la pedopornografia, lo stupro; istigando alla violenza sessuale verso i propri docenti, al rifiuto di stranieri e immigrati, alla discriminazione di persone vulnerabili, lo scherno dei disabili, dei bambini malati, attuando l’apologia del terrorismo, esaltando il maltrattamento e l’uccisione di animali, con immagini raccapriccianti, torture e sevizie, in cui l’essere umano era ridotto a una cosa». Chiarisce l’avvocato Mauro Carena: «Questa è stata una vicenda paradigmatica nata con un gruppo di black humour che si è allargato agli adulti che hanno postato contenuti pesanti che non erano all’inizio di loro interesse. Perla loro giovane età non hanno subito saputo cogliere il disvalore e prendere le distanze, non avevano gli strumenti per capire che l’indifferenza non basta in un sistema che corre veloce senza protezioni. Bisogna immunizzare i ragazzi da questi rischi: se ne esci acquisendo consapevolezza, come loro, diventi più forte, altrimenti il rischio è di pagarne il prezzo per tutta la vita».