Luogo:
Torino
Fonte:
La Stampa edizione di Torino
Autore:
Chiara Comai, Caterina Stamin
Torino guerriglia urbana
Tensione al corteo dello sciopero, pietre sulla polizia: “Lotteremo dalla Val Susa alla Palestina” Slogan, fumogeni e danni alla Rai, i negozianti abbassano le serrande. Denunciato un 14enne
TORINO «Siete voi poliziotti il pericolo. Ci manganellate per impedirci di entrare in università». «Ci state lanciando pietre addosso, dovete allontanarvi da qui». «No, non ci pieghiamo. Non lo faremo mai». Torino, corso Castelfidardo. Sono passate da poco le Critiche dalla politica La ministra Bernini: “Vediamo ancora violenza ingiustificata” 11,30 e davanti agli ingressi del Politecnico ci sono studenti con le corone d’alloro in testa e famiglie arrivate da tutta Italia. All’improvviso si sentono urla, gente che arriva di corsa. Sono quattrocento ragazzi e ragazze in corteo: esponenti dei centri sociali e dei collettivi, studenti dei licei e dell’università. E sono arrabbiati. Gridano “Palestina libera” e cercano rapidi di entrare nell’ateneo. Il Politecnico è l’obiettivo finale della manifestazione perché rappresenta tutto quello che vogliono contestare: gli accordi con Israele e le aziende “belliche” come Leonardo, Avio Aero, Thales Alenia. «Boicottiamo la guerra — gridano — Sappiamo da che parte stare». Si gettano contro gli scudi della polizia schierata in tenuta antisommossa. Chi è dietro lancia pigne, poi pietre. Chi è in prima fila tira calci, pugni, spintoni. Viene respinto con i manganelli. Due ragazzi vengono bloccati e identificati dagli agenti, ma solo uno viene denunciato. Ha quattordici anni. Quando entrambi i giovani, pochi minuti dopo, vengono rilasciati, i colleghi li accolgono come eroi. «Siete dei duri». «Tutto bene, bravi». «Avanti così». Gli altri al microfono attaccano la polizia: «Vi dovete vergognare. La stampa deve raccontare la verità: le forze dell’ordine fermano un compagno solo perché stava facendo un video». Quel compagno prende il microfono subito dopo: «Non ci piegheremo, la nostra lotta va avanti». Eccola la piazza di Torino. A solo due settimane dall’ultimo corteo che aveva bloccato la città, ne arriva un altro. Ancora più violento, nel giorno in cui il sindacato Usb ha pro- clamato lo sciopero dei trasporti e sfila a Roma contro il governo. A Torino gli slogan sono sempre gli stessi: «Contro la militarizzazione dell’università e i tagli alla ricerca», «Per la Palestina libera», «La scuola sa da che parte stare». E anche le facce, dietro lo striscione “boicottiamo la guerra”, non cambiano. Sono gli studenti che in primavera avevano occupato con le tende gli atenei della città. E che i17 ottobre, dopo un’estate di stop, sono scesi di nuovo in piazza nonostante il “no” della questura. Hanno dato alle fiamme cartelloni con il volto della premier Giorgia Meloni e dei ministri Matteo Salvini e Giuseppe Valditara il 15 novembre e poi di nuovo il 29. Ma ieri no. Ieri non c’era fuoco. Non c’erano mani “insanguinate” di vernice rossa. C’era la rabbia. E una città tenuta in scacco, tra antagonisti e sciopero nazionale nel settore pubblico e privato. Il corteo — non concordato con la questura — parte da Palazzo Nuovo, la sede delle facoltà umanistiche. Qui un centinaio di giovani hanno dormito tutta notte in vista della manifestazione. E forse sono gli stessi che nei bagni al primo piano hanno scritto con la vernice arancione “Luigi Mangione libero”, accanto il simbolo della falce e martello con una piccola stella a cinque punte. Intorno alle 10 i manifestanti raggiungono piazza XVIII Dicembre. I primi fumogeni vengono accesi dopo pochi metri, sotto il grattacielo di Intesa Sanpaolo. «Dalla Val Susa alla Palestina — dice uno di loro al microfono — la lotta continua». Sotto la sede dell’Ufficio scolastico regionale cori, lanci di uova e attacchi al ministro dell’Istruzione Valditara: «La scuola è nostra e ce la riprendiamo». Ancora sotto la sede dell’Unione industriali: «Contro lo sfruttamento dei giovani, ci fate schifo». E ai cancelli delle Ogr: «Fuori Leonardo dalle università». Il traffico in città è paralizzato dalla marcia disorganizzata. Alcuni commercianti chiudono le porte dei negozi: «Ho visto cos’hanno fatto le altre volte…». Ma il corteo va avanti. Al grido “Blocchiamo tutto, blocchiamo tutta la città”, arriva in piazza San Carlo, il “salotto” di Torino. Sfila per via Roma fino a piazza Castello, passa veloce fischiando sotto la Prefettura, teatro di scontri nell’ultima manifestazione. In via Po i collettivi incrociano una classe di bambini delle elementari. «Contiamo sudi voi — gli dicono — dovete lottare, fate sentire la vostra voce». I piccoli sono sorpresi, osservano quel fiume di persone in silenzio. Poi vengo- no allontanati dalle maestre. La Rai di via Verdi è l’ultimo obiettivo della giornata. I dimostranti raggiungono la sede accelerando il passo, poi forzano la grata della porta d’ingresso, fino ad alzarla, al centro di produzione intitolato a Piero Angela. Cercano di entrare nell’edificio dove li aspetta una schiera di carabinieri, ma alla fine scelgono di passare oltre. E allora tracciano sul selciato la scritta “Rai: sanzionati”. Il resto della giornata è scandito dalle condanne del mondo della politica. «La legittima libertà di manifestare non può essere utilizzata come alibi per seminare caos, provocare devastazioni, aggredire gli agenti di Polizia» scrive su Facebook il presidente del Senato Ignazio La Russa. «Condanniamo fermamente ogni atto di violenza, che non può trovare statuto nel libero dibattito democratico» aggiunge il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana. Il ministro per la Pubblica amministrazione e segretario di Forza Italia in Piemonte, Paolo Zangrillo, parla di «soliti facinorosi che seminano violenza». «La possibilità di esprimere il proprio dissenso — aggiunge — è una prerogativa che va difesa ma sempre nel pieno rispetto delle regole, della legalità e della sicurezza pubblica». Per Anna Maria Bernini, ministra dell’Università, «siamo tornati a vedere violenza ingiustificata da parte di gruppi antagonisti. Questo sono e così vanno chiamati, non studenti».
Cene, bivacchi e scritte a Unito Il rettore: “Sono sgomento”
Doveva essere solo una cena sociale con musica ed esposizioni artistiche, ma si è trasformata in un’altra notte a Palazzo Nuovo. Un centinaio di studenti hanno dormito nel corridoio della sede principale dell’università alla vigilia della giornata di scioperi e mobilitazione. E così, chi ieri mattina è arrivato in ateneo per le lezioni ha trovato le porte chiuse, sbarrate con sedie e sgabelli dall’interno. «Abbiamo dato un segnale che anche l’università partecipa allo sciopero generale» hanno spiegato poi i portavoce dei collettivi dell’Intifada. Uno stop che però è durato poco, perché i ragazzi volevano ricongiungersi con il corteo che partiva alle 9,30 da piazza XVIII Dicembre. Ma l’allarme nella comunità del palazzo è scattato. Soprattutto perché, ancora una volta, sono comparse diverse scritte sui muri da poco ripuliti da quelle precedenti. «Contro lo sfratto e il capitale», «Israele uccide, Israele impUnito», «Robin book gang». E poi, quella che ha suscitato più clamore: «Luigi Mangione libero». Il simbolo della falce e martello con una piccola stella a cinque punte accompagnano il nome del 26enne, accusato dell’omicidio di Brian Thompson a Manhattan, che negli ultimi giorni è diventato popolarissimo sui social, mitizzato come un eroe della sinistra contro il capitalismo. Alcuni professori non si sono sorpresi: «Mangione è solo l’ultimo anello —ha commentato Ermanno Malaspina, docente di Latino — c’è una striscia di canaglie di tutto rispetto che questi ragazzi vogliono libere. Un anno fa erano tutti per Cospito». Non è la prima volta, dall’ultima occupazione della scorsa primavera, che i collettivi pro Palestina annunciano una cena e poi si fermano a dormire a sorpresa. «Intifada is bacio> hanno ripetuto anche ieri. Questa volta però il rettore Stefano Geuna ha deciso di rispondere: «La vandalizzazione degli spazi pubblici, universitari ma non solo, è difficile da spiegare e non può avere alcuna giustificazione. Ancor più se diventa una pratica che si ripete sistematicamente nel tempo. Nessuna causa dovrebbe poter essere sostenuta recando danno ai beni comuni, procurando perciò un problema alla collettività e all’intera comunità universitaria». Poi, la ferma condanna: «Siamo sgoFerma condanna per una violenza riemergente che riporta a un passato buio menti di fronte a questo ulteriore episodio ed esprimiamo ferma condanna di fronte a una violenza espressiva riemergente, che riporta alla mente un passato buio. L’Ateneo è già al lavoro perla pronta cancellazione delle scritte lasciate oggi dai manifestanti, perché è assoluta priorità ristabilire il decoro nel totale rispetto del valore pubblico dei nostri luoghi». Sulla situazione i tre candidati rettori — Raffaele Caterina, Cristina Prandi e Laura Scomparin—nonsi sono voluti esprimere. L’unico commento è arrivato da Caterina, che però ieri si trovava fuori città quindi ha risposto sul tema «solo in linea generale». Per lui «il problema di sicurezza nel palazzo esiste, ma bisogna affrontarlo dialogano di più con gli studenti. I fatti di questi giorni danno l’impressione che la situazione non sia gestita adeguatamente». Intanto, il collettivo Cambiare Rotta annuncia nuovi giorni di protesta: «Dal 16 al 19 dicembre allarme rosso per il diritto allo studio — scrivono sui social — Stato di agitazione contro tagli alla guerra e repressione». Il motivo sarebbe «la repressione sulle teste degli studenti che rivendicavano soldi alla formazione, non alla guerra, e un diritto di studio garantito».
di Chiara Comai e Caterina Stamin
Photo credits: La Stampa