Fonte:
Il Foglio
Autore:
Maurizio Crippa
“C’è un rettore a Torino”
Qualche segnale di ritrovato raziocinio da parte delle autorità accademiche, e di piccola speranza in una situazione politica e di gestione pratica sempre più fuori controllo nelle università, finalmente s’intravede. Dopo il “grave incidente” (Elena Loewenthal), o meglio l’inaccettabile gesto antisemita dell’imam fatto entrare nell’Università di Torino occupata per una preghiera che ha inneggiato al “jihad come lotta di liberazione in Palestina”, qualche rettore, nella sua benedetta autonomia, dimostra di avere le idee chiare più che non la categoria presa nel suo insieme, la Crui, e anche della sua presidente, la rettrice della Bicocca Giovanna Iannantuoni. Ieri infatti il rettore del Politecnico di Torino, Stefano Paolo Corgnati, ha condiviso con “tutta la comunità di ateneo” la “richiesta di diffida” per impedire il “previsto svolgimento di una preghiera islamica del venerdì presso la nostra sede”. Cioè la replica del gesto abusivo del giorno prima a Palazzo Nuovo. “Si chiede pertanto un vostro intervento – ha scritto – nel diffidare autorità religiose eventualmente coinvolte dallo svolgere funzioni e attività presso le nostre sedi, sottolineando i princìpi di indipendenza e laicità che ispirano il nostro ateneo”. Diffida condivisa con la ministra dell’Università Anna Maria Bernini e prontamente notificata dalla questura di Torino all’imam Brahim Baya. La rottura di una spirale di eccessiva timidezza ben testimoniata dal rettore dell’Università di Torino, Stefano Geuna, che seppure condannando (“la laicità del nostro ateneo non si discute”) alla Stampa aveva commentato così: “E’ entrato senza chiederci il permesso”, “chi occupa prende il controllo degli spazi e questa poi è una occupazione abbastanza dura”. Ma per la rettrice e presidente Crui Iannantuoni, intervistata da Repubblica, va tutto bene: “Gli sgomberi non sono all’ordine del giorno. La nostra indipendenza è un tesoro prezioso… Uno sgombero implica un’operazione della polizia. E io sono convinta che non ce ne sia bisogno, possiamo benissimo gestirla in altro modo”. Dal canto suo l’imam “moderato” Brahim Baya ha esternato: “Il problema è l’islamofobia di questo paese”. Non l’inno al jihad, no. Del resto l’imam Brahim Baya sembra avere un’idea tutta sua dell’islamofobia, e su TikTok si appella alla auctoritas nientemeno che del prof. Barbero per spiegare che “il jihad non vuol dire guerra”. La reazione giunta dal Politecnico di Torino è decisamente migliore e più netta rispetto al comunicato della Conferenza dei rettori di due giorni fa, in cui veniva rilanciato ancora una volta l’ambiguo refrain del “cessate il fuoco”, inteso sempre come unilaterale, e della “escalation” da evitare, ma non fa minimamente cenno – e forse un parlamentino dei rettori dovrebbe sentire la necessità di farlo – alle occupazioni a volte violente e agli atti di odioso antisemitismo che si moltiplicano nelle università italiane. Dove il “benissimo gestirla in altro modo” di Iannantuoni è platealmente smentito dalla preghiera dell’imam, dalla stella di David incisa sulla porta di un docente ebreo a Firenze, dal boicottaggio di incontri e convegni non “autorizzati” dagli acampados da Napoli a Milano, dalle lezioni interrotte e dalle risse in perfetto stile maranza viste alla Statale di Milano, dove tra l’altro l’ateneo ha pavidamente rimandato di un mese il previsto Open Day, “a causa dell’occupazione”. Non soltanto poco o nullo controllo, ma anche un atteggiamento debole quando non ideologicamente connivente che Pierluigi Battista ha con chiarezza stigmatizzato ieri sull’HuffPost, proprio in riferimento a una lettera che Iannantuoni aveva indirizzato alla sua comunità d’ateneo, la Bicocca di Milano, prima dell’incontro della Crui: “Distorcendo i fatti e le stesse parole molto chiare del presidente della Repubblica sull’illiceità etica e culturale del boicottaggio delle Università israeliane, la rettrice della Bicocca sposa in pieno le tesi e i pregiudizi degli acampadosche stanno bloccando l’attività accademica”. Nota Battista che nella lettera si “parla solo di attività a favore degli atenei palestinesi”, scelta del resto confermata dal comunicato della Crui, e “si lascia riaffiorare, con una forma di boicottaggio ipocritamente mimetizzato, il risibile argomento del ‘dual use’per cancellare la collaborazione scientifica con le università israeliane”. E infine, scrive Battista, “non spende una parola sui cittadini ebrei cacciati dalle Università italiane”. Nell’intervista a Repubblica, la presidente della Conferenza dei rettori aveva richiamato alla responsabilità “tutti coloro che potenzialmente strumentalizzano le occupazioni”, come se la strumentalizzazione non fosse invece una prerogativa di chi, peraltro in condizioni di minoranza, pretende di imporre nelle università i propri contenuti o slogan. Da parte sua la ministra Bernini bene ha fatto a coordinare col rettore del Politecnico di Torino la richiesta di diffida per lo svolgimento della preghiera islamica, così come aveva fatto bene a stigmatizzare con forza la settimana scorsa l’episodio della stella di David a Firenze. Ora il segnale che i rettori sono pronti a mettere un freno alle imprese di chi protesta in modo antidemocratico e con gesti addirittura antisemiti dovrebbe forse aiutare il mondo accademico, e il governo, a riflettere sul fatto che se il “possiamo benissimo gestirla in altro modo” degli atenei non sta funzionando, e invece “l’occupazione è abbastanza dura” servono provvedimenti più incisivi di qualche retorica pacca sulla spalla. Il cessate il fuoco inizi dalle università.