Fonte:
L'Unione informa - www.moked.it - la Repubblica
Autore:
Riccardo Di Segni, Eugenio Scalfari
L’antigiudaismo su Repubblica tra Scalfari e Marcione
Vecchio e banale antigiudaismo marcionista in salsa pseudolaica nell’editoriale di Eugenio Scalfari apparso su La Repubblica del 29 dicembre. Marcione era l’eretico che contrapponeva il Dio della vendetta dell’ “Antico” Testamento a quello dell’amore del Nuovo. Anni fa quando Repubblica titolava “la vendetta di Israele” non avevamo torto a riconoscervi i segni del pregiudizio teologico molto prima della critica politica.
rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
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la Repubblica
29 dicembre 2013
La rivoluzione di Francesco ha abolito il peccato
di Eugenio Scalfari
SI CERCANO con insistenza le novità e le innovazioni con le quali papa Francesco sta modificando la Chiesa. Alcuni sostengono che le novità sono di pura fantasia e le innovazioni del tutto inesistenti; altri al contrario sottolineano le innovazioni organizzative che non turbano tuttavia la tradizione teologica e dottrinaria; altri ancora definiscono Francesco, Vescovo di Roma come egli ama soprattutto definirsi, un Pontefice rivoluzionario. Personalmente mi annovero tra questi ultimi. È rivoluzionario per tanti aspetti del suo ancor breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato. Un Papa che abbia modificato la Chiesa, anzi la gerarchia della Chiesa, su una questione di questa radicalità, non si era mai visto, almeno dal terzo secolo in poi della storia del cristianesimo e l’ha fatto operando contemporaneamente sulla teologia, sulla dottrina, sulla liturgia, sull’organizzazione. Soprattutto sulla teologia. I critici di papa Francesco sottovalutano le sue capacità e inclinazioni teologiche, ma commettono un grossolano errore. Il peccato è un concetto eminentemente teologico, è la trasgressione di un divieto. Quindi è una colpa. La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: «Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me». poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre. Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: «Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d’altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)». II Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all’ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia – che ancora non è arrivato per gli ebrei – non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l’uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge. È Creatore e padrone delle cose create. Nulla è mai esistito prima di lui e quindi da quando esiste comincia la creazione. Questo Dio i cristiani l’hanno ereditato trasformandolo fortemente nella sua essenza ma facendone propri alcuni aspetti importanti: il divieto e quindi il peccato e la colpa. Adamo ed Eva peccarono e furono puniti, Caino peccò e fu punito, e anche i suoi discendenti peccarono e furono puniti. L’umanità intera peccò e fu punita dal diluvio universale. Questo è il Dio di Abramo, il Dio della cattività egizia e babilonese, di Assiria, di Babele, di Sodoma e Gomorra. Nella sostanza è il Dio ebraico o molto gli somiglia salvo che nella predicazione di alcuni profeti e poi soprattutto in quella evangelica di Gesù. Nei secoli che seguirono, fino all’editto di Costantino che riconobbe l’ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offri martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell’amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l’agape, la carità e l’esortazione evangelica «ama il tuo prossimo come te stesso». Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che si manifestò con l’amore e il perdono. Nella dottrina dei Concili e dei Papi restano tuttavia le categorie del Dio giudice, del Dio esecutore di giustizia, del Dio che ha edificato una Chiesa e man mano l’ha distaccata dal popolo dei fedeli. Dall’editto di Costantino sono passati 1700 anni, ci sono stati scismi, eresie, crociate, inquisizioni, potere temporale. Novità e innovazioni continue su tutti i piani, teologia, liturgia, filosofia, metafisica. Ma un Papa che abolisse il peccato ancora non si era visto. Un Papa che facesse della predicazione evangelica il solo punto fermo della sua rivoluzione ancora non era comparso nella storia del cristianesimo. Questa è la rivoluzione di Francesco e questa va esaminata a fondo, specie dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l’abolizione del peccato è la parte più sconvolgente di tutto quel recentissimo documento. Francesco abolisce il peccato servendosi di due strumenti: identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l’amore, la misericordia e il perdono. E poi attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza. L’uomo ebbero e tale fu creato, afferma Francesco. Qual è il sottinteso di questa affermazione? Se l’uomo non fosse libero sarebbe soltanto un servo di Dio e la scelta del Bene sarebbe automatica per tutti i fedeli. Solo i non credenti sarebbero liberi e la loro scelta del Bene sarebbe un merito immenso. Ma Francesco non dice questo. Per lui l’uomo è libero, la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L’anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il Male; ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa. Purché, sia pure nell’attimo che precede la morte, quell’anima accetti la misericordia. Ma se non l’accetta? Se ha scelto il Male e non revoca quella scelta, non avrà la misericordia e allora che cosa sarà di lui? Per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre. Può abolire l’Inferno, ma ancora non l’ha fatto anche se l’esistenza teologica dell’Inferno è discussa ormai da secoli. Può affidare al Purgatorio una funzione”post mortem” di ravvedimento, ma si entrerebbe allora nel giudizio sull’entità della colpa e anche questo è un tema da tempo discusso. Papa Francesco indulge talvolta a ricordare ai fedeli la dottrina tradizionale anche se il suo dialogo con i non credenti è costante e rappresenta una delle novità di questo pontificato che ha trovato i suoi antecedenti in papa Giovanni e nel Vaticano II. Francesco non mette in discussione i dogmi e ne parla il meno possibile. Qualche volta li contraddice addirittura. È accaduto almeno due volte nel dialogo che abbiamo avuto e che spero continuerà. Una volta mi disse, di sua iniziativa e senza che io l’avessi sollecitato can una domanda: «Dio non è cattolico». E spiegò: Dio è lo Spirito del mondo. Ci sono molte letture di Dio, quante sono le anime di chi lo pensa per accettarlo a suo modo o a suo modo per rifiutarne l’esistenza. Ma Dio è al sopra di queste letture e per questo dico che non è cattolico ma universale. Alla mia domanda successiva a quelle sue affermazioni sconvolgenti, papa Francesco precisò: «Noi cristiani concepiamo Dio come Cristo ce l’ha rivelato nella sua predicazione. Ma Dio è di tutti e ciascuno lo legge a suo modo. Per questo dico che non è cattolico perché è universale». Infine ci fu in quell’incontro un’altra domanda: che cosa sarebbe accaduto quando la nostra specie fosse estinta e non ci sarà più sulla Terra una mente capace di pensate Dio? La risposta fu questa: «La divinità sarà in tutte le anime e tutto sarà in tutti». A me sembrò un arduo passaggio dalla trascendenza all’immanenza, ma qui entriamo nella filosofia e vengono in mente Spinoza e Kant: «Deus sive Natura» e «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me». «Tutto sarà tutto in tutti». A me, l’ho già detto, è sembrata una classica immanenza ma se tutti hanno tutto dentro di sé potrebbe essere concepita anche come una gloriosa trascendenza. Resta comunque assodato che per Francesco Dio è misericordia e amore per gli altri e che l’uomo è dotato di libera coscienza di sé, di ciò che considera Bene e di ciò che considera Male. Ma qui si pone un’altra e fondamentale domanda: che cos’è il Bene e che cosa è il Male? Credo sia impossibile dare una definizione a questi due concetti. Una soltanto è possibile: sono necessari l’uno all’altro per poter reciprocamente esistere di fronte ad un essere vivente che ha conoscenza di sé. Gli animali non hanno il problema del Male e del Bene perché non possiedono una mente che si guarda e si giudica. Noi si, quella mente l’abbiamo. Se ci fosse solo il Bene, come definirlo? Ma se c’è anche il Male l’esistenza di uno fa la differenza dell’altro come accade tra la luce e il buio, tra la salute e la malattia, e se volete, tra esistenza e inesistenza. Il nulla non è definibile né pensabile perché privo di alternativa. Evangelii Gaudium non parla soltanto di teologia. Anzi parla molto più a lungo di altre cose, concrete, organizzative, rivoluzionarie anch’esse. Parla del molo positivo e creativo delle donne nella Chiesa. Parla dell’importanza dei Sinodi dei quali il Papa fa parte in quanto Vescovo di Roma, “primus inter pares”. Parla dell’autonomia delle Conferenze episcopali. Parla dell’importanza delle parrocchie e degli oratori sul territorio. Parla perfino di politica, non certo nel senso del politichese, ma della politica come visione del bene comune e della libertà per chiunque di utilizzare lo spazio pubblico per diffondere e confrontarsi con le idee altrui. Parla delle diseguaglianze che vanno diminuite. «Io non ce l’ho con i ricchi, ma vorrei che i ricchi si dessero direttamente carico dei poveri, degli esclusi, dei deboli». Così papa Francesco. E parla infine della Chiesa missionaria che rappresenta il punto centrale della sua rivoluzione. La Chiesa missionaria non cerca proselitismo ma cerca ascolto, confronto, dialogo. Concludo con una frase che dice tutto su questo Papa, gesuita al punto d’aver canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia più nobile e più discussa tra gli Ordini della Chiesa e contemporaneamente d’aver assunto il nome di Francesco che nessun Pontefice prima di lui aveva mai usato. I gesuiti mettono al servizio della Chiesa la loro proverbiale e non sempre apprezzabile flessibilità. Francesco d’Assisi era invece integrale nella sua visione d’un Ordine mendicante e itinerante. L’Ordine francescano fu rivoluzionario ma la sua potenza fu molto limitata; la Compagnia di Gesù al contrario fu potentissima e molto flessibile. Questo Papa riunisce in sé le potenzialità degli uni e degli altri e con elude con due righe che rappresentano la sintesi di questo storico connubio: «È necessaria una conversione del Papato perché sia più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli. Non bisogna aver paura di abbandonare consuetudini della Chiesa non strettamente legate al Vangelo. Bisogna essere audaci e creativi abbandonando una volta per tutte il comodo proverbio “Si è sempre fatto cosi”. Bisogna non più chiudere le porte della Chiesa per isolarci, ma aprirle per incontrare tutti e prepararci al dialogo con altri idiomi,altri ceti sociali, altre culture. Questo è il mio sogno e questo intendo fare». Questo dialogo riguarda anche e forse soprattutto i non credenti, la predicazione di Gesù ci riguarda, l’amore per il prossimo ci riguarda, le diseguaglianze intollerabili ci riguardano. Un Papa rivoluzionario ci riguarda e il relativismo di aprirsi al dialogo con altre culture ci riguarda. Questa è la nostra vocazione al Bene che dobbiamo perseguire con costante proposito.