30 Giugno 2024

Slogan antisemiti

SOCIETÀ – Breve storia degli slogan dalla Scozia al Giordano

La parola slogan deriva dallo scozzese sloghorne, che a sua volta viene dal gaelico sluaghghairm, “grido di guerra”, composto appunto di sluagh, esercito, e gairm, grido. Per l’Enciclopedia Treccani è una «Breve frase, incisiva e sintetica, per lo più coniata a fini pubblicitari o di propaganda politica, che, per ottenere un effetto immediato ed essere facilmente memorizzabile, si avvale spesso di accorgimenti ritmici, della rima, di assonanze o allitterazioni, oppure è esemplata secondo lo schema usuale dei proverbi». Uno slogan, quando funziona, è allo stesso tempo  riconoscibile e facile da ricordare, accattivante, e capace di racchiudere in pochissime parole un’idea, un marchio, un prodotto. Oppure può essere polarizzante e servire a diffondere opinioni estremiste, odio e menzogne, così come è successo nella Germania nazista, quando la diffusione degli slogan alimentava la discriminazione e aiutava l’identificazione con l’ideologia razzista. Gli slogan, allora, venivano studiati con cura meticolosa, pensati per spingere alla passività e all’accettazione delle azioni discriminatorie intraprese contro gli ebrei: ritraevano il regime nazista come una forza capace di ristabilire l’ordine, mascherandone le intenzioni. Nel Mein Kampf Hitler scriveva che per essere efficace la propaganda deve limitarsi a pochissimi punti, da utilizzare come slogan.
Dopo l’attacco terroristico perpetrato da Hamas il 7 ottobre, c’è stata una crescita del sostegno globale ai palestinesi, un’ondata di solidarietà alimentata anche da slogan di grande impatto che sono diventati sinonimo del movimento. Scrive Ilene Cohen su Aish che la prevalenza di questi slogan nelle manifestazioni a favore dei palestinesi, in particolare in grandi città come New York e Londra, ha coinciso con un aumento dell’antisemitismo, situazioni preoccupanti alimentate da una cecità e sordità collettive che non colgono il vero significato della retorica utilizzata nelle manifestazioni pro-pal, nei campus e spesso anche dai media.
Il più noto, “From the River to the Sea, Palestine Will be Free”, ossia “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, sostiene uno Stato palestinese che si estenda dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, sradicando di fatto gli ebrei e smantellando lo Stato di Israele. Risale alla fondazione dell’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, avvenuta nel 1964, e storicamente invocava uno Stato palestinese basato sui confini precedenti al 1948, ossia in contrasto con gli Accordi di Oslo. Va ricordato che la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha condannato a stragrande maggioranza questo slogan, definendolo anche antisemita.
“Globalize the Intifada” e “There is Only One Solution: Intifada Revolution” sono invece slogan centrati sulla parola “intifada”, che letteralmente significa “scrollarsi di dosso” ed è legata alle azione violente nei confronti degli israeliani, agli attacchi terroristici che sono avvenuti, appunto, durante la Prima e la Seconda Intifada. È un termine sinonimo di resistenza violenta, implica un invito all’azione. Che è stata azione terroristica.
Intonare invece ““Glory to Our Martyrs”, ossia “Gloria ai nostri martiri”, significa appellarsi al Fondo per i Martiri dell’Autorità Palestinese – noto anche come “Pay For Slay” –, che risarcisce le famiglie delle persone coinvolte nella violenza contro gli israeliani, glorificando di fatto il terrorismo e perpetuando una cultura in cui violenza e martirio sono premiati. Frequente durante le manifestazioni è anche lo slogan “Zionism is racism”, ossia “Il sionismo è razzismo”, a rimarcare che l’ideologia a sostegno dello stato nazionale ebraico è intrinsecamente discriminatoria e mina la causa palestinese. Sebbene la critica rivolta a specifiche scelte politiche israeliane sia legittima, etichettare il sionismo come intrinsecamente razzista non solo è discriminatorio, ma finisce per negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, concesso a tutte le altre nazioni: mina la legittimità dello Stato di Israele.