Fonte:
L'unione informa
Autore:
Sergio Della Pergola
… paragoni
Sul Corriere del 24 marzo, due giorni dopo gli attentati di Bruxelles, Paolo Mieli invitava a non commettere l’errore di evocare il fascismo o il nazismo come paragone per i crimini dei fondamentalisti islamici. Chiaramente su un piano formale il paragone non calza: non si vedono in giro aquile, fasci, fiaccole, stivali, berretti e orbace. Siamo in un periodo storico diverso, e sono diversi i contesti e gli strumenti tecnologici. Ma se approfondiamo le motivazioni e la struttura profonda del fenomeno, il paragone appare meno implausibile. Al centro del progetto vi è la distruzione del mondo occidentale e cristiano e la sua sostituzione da parte di qualcosa d’altro: allora erano la nostalgia e il culto di antichi imperi pre-cristiani, oggi è il preteso ricupero di una passata egemonia territoriale islamica su vaste estensioni di territorio europeo. C’è anche l’obbedienza cieca e assoluta a capi che allora erano dittatori di regimi politici secolari e oggi sono predicatori religiosi – forse più decentrati sul territorio, ma comunque dotati di notevole carisma e capacità di persuasione. Il richiamo ai precedenti storici, poi, ha un risvolto operativo che molti altri analisti (e forse anche Mieli) non riescono proprio a metabolizzare. Quello che oggi manca completamente nell’ethos politico occidentale, è il sentire la necessità imperativa di un’opposizione totale e senza compromessi di fronte all’altrui aggressione che minaccia di devastare, e di fatto già devasta, i principi e la vita delle democrazie occidentali, a costo di impegnarsi in una lunga e sanguinosa guerra, e consapevoli che ciò comporta sacrifici e perdite. Come allora Winston Churchill capì e bene espresse nella sua famosa frase “Vi prometto sangue, fatica, lacrime e sudore” e poi “Never, never, never, never, never give up” (mai, mai, mai, mai, mai rinunciare). Oggi, invece, sembra più comodo richiamare alla correttezza politica, al compromesso, fino alla patetica tesi che le stragi terroriste riflettono la scarsa integrazione sociale degli immigranti. È un ragionamento simile a quello, direi perverso, di alcuni storici che attribuiscono le cause della shoah alla modernizzazione delle società industriali europee. Esiste in entrambi i casi uno sforzo quasi disperato di ignorare le matrici ideologiche profonde del male, sostituendole con delle spiegazioni socio-psicologiche che cercano più che di capire, di giustificare, dunque, tutto purché non combattere. È semmai interessante il riferimento di Mieli alla Guerra dei Trent’anni come paragone storico, perché effettivamente indica la prospettiva di un lungo, doloroso e incerto malessere, piuttosto che un scontro rapido e conclusivo. Ma anche in quel drammatico e tragico conflitto di 400 anni fa fra opposte concezioni religiose (cristiane), o se vogliamo fra opposti interessi di grandi potenze, vi erano due parti. E sarebbe opportuno che l’occidente illuminato, oltre a prepararsi a combattere una lunga guerra, chiarisse inequivocabilmente da che parte sta.