Fonte:
Ravenna Notizie
Autore:
Sara Pietracci
Nascondere i segni distintivi della propria fede religiosa per paura di essere discriminati. Sentirsi improvvisamente allontanati da persone considerate amiche. L’antisemitismo, l’avversione verso le persone di fede ebraica, è tornato a far parte del nostro presente, anche se oggi tende a confondersi o ad essere confuso, anche in maniera strumentale, con un altro termine: l’antisionismo.
In occasione del Giorno della Memoria, 80° anniversario dalla liberazione di Auschwitz, abbiamo intervistato Roberto Matatia, ebreo faentino, scrittore e divulgatore dei temi legati alla Shoah, per capire quanto l’antisemitismo sia oggi ancora presente.
L’INTERVISTA
Nel 2025 non avrei pensato di fare un’intervista per parlare di antisemitismo. Cosa sta accadendo?
“Oggi, noi ebrei viviamo una nuova ondata di antisemitismo, diverso in maniera radicale rispetto al passato. Non che prima non ci fosse, sia chiaro, ma negli ultimi tempi si è amplificato e in molte situazioni si rivela in maniera più chiara. Quello che appare più sconcertante è che eravamo abituati a concepire l’antisemitismo come una forma di discriminazione presente nelle persone che sostengono ideologie di destra, oggi invece la situazione si è ribaltata. Gesti e parole fortemente antisemite provengono dall’estrema sinistra. Lo sentiamo e percepiamo in maniera molto forte e purtroppo non posso negare che questo cambiamento di paradigma abbia creato in molti ebrei un disagio e uno sconcerto maggiore”.
“Non mi riferisco alla frase volgare, ma ad un atteggiamento di diffidenza e lontananza che fino a poco tempo fa non percepivamo. Non eravamo abituati ad assistere a gesti violenti contro i nostri luoghi di culto, come è avvenuto alla Sinagoga di Bologna che è stata danneggiata poche settimane fa e imbratta con scritte ignobili che appartengo ad altri tempi. Non eravamo abituati a dover togliere i nostri segni identificativi, come la Stella di David dal collo, per celare la nostra fede. Oggi, in alcune situazioni, preferiamo farlo. Per noi ebrei la situazione è molto difficile. Ne parlo con molta amarezza, perché davvero non è facile da accettare. Oggi non ho più quella sicurezza di vivere in un’Italia isola felice, certezza che avevo fino a qualche anno fa. Ovviamente io sono e mi sento Italiano, ma quello che sta accadendo in Medio Oriente e a Gaza pone tutti gli ebrei in una condizione particolare. Molte persone interloquiscono con me come se io fossi israeliano, come se io fossi responsabile di quanto sta accadendo là. Io sono ebreo, sono italiano, qui ho studiato e vivo, ed ero abituato a sentirmi e ad essere sentito come cittadino italiano“.
In cosa consiste il cambiamento di cui parla?
“Vede, ci sono persone che reputavo amiche fino a poco tempo fa, ma che oggi non mi salutano quando mi incrociano per strada o che hanno un atteggiamento indifferente nei miei confronti. Credo che provare indifferenza sia peggio che essere ostili. Sono queste le cose che feriscono. Parlo di situazioni che vivo non solo sulla mia pelle, ma che sono vissute anche da altre persone ebree che conosco”.
Lei alcuni anni fa fu vittima di atteggiamenti antisemiti molto espliciti.
“Sì, due anni fa venni aggredito in un cinema da persone di estrema destra. Quindi non è che queste situazioni non ci fossero ma erano casi isolati. Oggi è diverso. Sono situazioni orribili. Lo assicuro”.
Oggi chi si dichiara anti-israeliano si sente “giustificato” a sentirsi anti-ebraico?
“Oggi come oggi, secondo la mia percezione, antisionismo e antisemitismo sono due concetti che si sono molto inglobati. Stanno diventano una cosa sola. Questo è un problema serio e pericoloso che fa sì che molte persone si sentano giustificate a dire: “Voi ebrei, cosa avete fatto? Cosa state facendo?”, ignorando che non tutti gli israeliani sono responsabili di quello che sta accadendo in Medio Oriente. Anche in Israele infatti c’è una parte di opinione pubblica che è contraria alla guerra. Però per molte persone è più facile considerare colpevoli tutti gli ebrei”.
E lei come vive questi atteggiamenti? Cerca di spiegare al proprio interlocutore che è sbagliato confondere le due cose?
“Inizialmente, dopo il 7 ottobre, ho cercato di spiegare, ma mi sono reso conto che era tutto inutile. È come scontrarsi contro un muro. Adesso ne parlo solo quando vengo interpellato, come in questo caso, ma altrimenti no. Ho capito che dall’altra parte gli interlocutori non sono aperti e pronti a comprendere”.
Teme che chi critica oggi Israele, e la politica che sta mettendo in atto, possa rivelarsi anche antisemita?
“Non necessariamente. Vede, non c’entra cosa si pensa, ma come si pensa. C’entrano i toni che vengono usati, c’entrano le parole che vengono usate, c’entra la violenza che viene usata nell’esprimersi. Conta come si dicono le cose. Si trascende in antisemitismo quando si superano certi modi nell’esporre la propria idea, non solo per una forma di aggressività ma nel come ci si pone nei confronti dell’altro. È ovvio che ciò che sta avvenendo a Gaza e in altri territori del Medio Oriente crea in me un forte sconcerto e dolore. Come si fa a non provare questi sentimenti sapendo che ci sono persone che soffrono. L’ultimo anno e mezzo è stato crudele. Quello che sta accadendo ha origini lontane e non so come si potrà evolvere. Spero che prima o poi si possa parlare di “due popoli e due Stati” e si possa arrivare alla pace, con un po’ di buon senso”.
A pochi giorni dalla ricorrenza della Liberazione di Auschwitz, è più doloroso tornare a parlare di antisemitismo?
“Vede, da almeno 10 anni mi occupo di parlare della Shoah, andando nelle scuole di tutta Italia, incontrando i giovani, partecipando ad incontri con associazioni. Confesso che quest’anno ho la sensazione che si parli di Shoah in un tono minore. Purtroppo il presente ha assorbito il passato. Bisognerebbe comprendere che quegli avvenimenti sono qualcosa che appartiene all’umanità intera, non solo al popolo ebraico. Per questo non vanno dimenticati. Pochi giorni fa sono stato in una scuola di Bologna per un incontro con gli studenti ed è stato davvero molto intenso. Quindi ritengo che sia importante continuare a farlo. Perché quello che è accaduto, è successo all’uomo e non all’ebreo”.