20 Gennaio 2025

Riflessione sulla ricerca JDC-ICCD

SOCIETÀ – Dalla ricerca JDC-ICCD: coesione interna e apertura per ripartire

L’antisemitismo è la principale preoccupazione della leadership ebraica europea. Nessuno, alla luce degli eventi post-7 ottobre, può stupirsi di questo dato, messo in luce anche nella sesta indagine sui dirigenti e sui professionisti delle comunità ebraiche europee realizzata dal Centro internazionale per lo sviluppo comunitario (JDC-ICCD). Ma, avverte Betti Guetta, la sociologa della Fondazione Cdec che ha lavorato all’indagine assieme al direttore della ricerca Marcelo Dimentstein, «non possiamo definire l’identità ebraica solo attraverso il prisma dell’antisemitismo. È essenziale spostare il dibattito verso temi che possano unire il mondo ebraico, come i valori condivisi, l’educazione e il dialogo interno».

Minacce esterne e sfide interne

Entrambi sottolineano come l’ebraismo europeo (32 i paesi coinvolti nell’indagine) debba affrontare non solo le minacce esterne, ma anche le sfide interne che rischiano di indebolirlo. «Le domande sulle priorità e sui pericoli non servono solo a registrare le preoccupazioni delle comunità, ma costringono la leadership a riflettere sul proprio operato e sulla capacità di pianificare il futuro» spiega Dimentstein. Questioni come il declino demografico, il disimpegno dalla vita comunitaria e il rinnovamento delle organizzazioni ebraiche emergono con urgenza, accanto alla necessità di rendere le istituzioni più attrattive per i più giovani.
Una delle sfide più importanti, evidenziata anche da Lela Sadikario, dirigente dell’American Jewish Joint Distribution Committee (Jdc), riguarda il bisogno di rafforzare la coesione interna. «C’è una crescente necessità per gli ebrei europei di avere un centro forte attorno al quale orbitare». Dalla Francia alla Germania all’Italia, «le persone hanno bisogno di sentirsi supportate da istituzioni solide dove ritrovare un senso di appartenenza e di identità in spazi sicuri». Una necessità più forte dal 7 ottobre 2023, quando molte persone hanno cercato rifugio nei propri «circoli comunitari, allontanandosi dai contesti esterni percepiti come sempre meno sicuri. Una reazione normale di fronte a un trauma», spiega Dimentstein. L’allontanamento però, aggiunge, non è iniziato un anno fa. «Già da tempo, in paesi come Francia e Regno Unito, si registra un progressivo spostamento dei bambini ebrei dalle scuole pubbliche a quelle ebraiche, segno di una percezione crescente di pericolo negli spazi pubblici».
In Italia per certi versi la situazione è migliore. Rispetto ad altri paesi, la comunità ha maggior fiducia nelle istituzioni quando si tratta di tutelare la sua sicurezza. Ma, segnala Guetta, resta il tema dell’isolamento. «Più della metà dei leader e professionisti italiani (52%) afferma che i loro rapporti con amici non ebrei sono diventati più distanti dal 7 ottobre e più di un terzo (37%) riferisce di essersi allontanato dalle organizzazioni non ebraiche a cui è affiliato». In entrambi i casi, questa percentuale è più alta rispetto al campione complessivo europeo, in cui il 38% ha dichiarato di essersi allontanato dagli amici non ebrei e il 27% dalle organizzazioni non ebraiche. «È un dato molto inquietante che racconta di una frattura in atto», sottolinea la sociologa. «Non si può lasciare questa situazione abbandonata a se stessa, serve immaginare un percorso per rimettere insieme i pezzi del rapporto tra ebrei e mondo esterno».

La Memoria non basta

Per il futuro, Guetta invita a concentrarsi su un’agenda che vada oltre l’antisemitismo, sfruttando l’attuale coesione interna per affrontare le altre sfide. «Serve proporre fattori positivi e serve coraggio, è pericoloso per l’ebraismo schiacciarsi solo sul ricordo della Shoah o sul 7 ottobre». La memoria, aggiunge, fa certamente parte della tradizione ebraica, ma per affrontare per esempio la preoccupazione per il declino demografico (una minaccia seria per l’85% degli intervistati italiani contro il 64% degli europei) o l’alienazione degli ebrei dalla vita della comunità» (85%). Secondo Guetta solo riposizionando il dibattito su una narrativa che integri storia, valori e contemporaneità sarà possibile rafforzare l’ebraismo italiano e creare un dialogo costruttivo con la società.
Uno sguardo, aggiunge Dimentstein, valido per tutta l’Europa ebraica. «C’è bisogno di una visione che guardi oltre le singole comunità, riconoscendo l’importanza di una rete continentale forte e coesa. Bisogna essere consapevoli che esiste un ebraismo europeo che va coltivato, non solo nei rapporti tra l’Europa e Israele, ma anche al suo interno. Non tutti i problemi si esauriscono nelle nostre singole comunità, giusto?».