7 Settembre 2017

Riflessione su migranti e banalizzazione della Shoah

Fonte:

Il Fatto Quotidiano

Autore:

Silvia Truzzi

Questione migranti, tragedia immane ma non c la Shoah

Auschwitz on the Beach è la performance che il filosofo “Bifo” Berardi avrebbe dovuto presentare alla mostra di arte contemporanea “Documenta 14”, a Kassel in Germania. Ma l’evento è stato cancellato di comune accordo tra gli organizzatori e il medesimo Bifo, dopo durissime polemiche che si sono scatenate in Germania il ministro della Cultura tedesco e il sindaco della città dell’Assia hanno addirittura invocato l’intervento della magistratura. Al sito del nostro giornale, che gli domandava se immaginava che l’annuncio della performance avrebbe suscitato queste reazioni, l’autore ha risposto: “Noi europei stiamo ripetendo quello che i nazisti fecero negli anni 40. Qualcuno potrebbe dire che questa è un’esagerazione, ma certo che è un’esagerazione! Tuttavia, bisogna tener presente che per il momento abbiamo ucciso almeno trentamila migranti nel Mar Mediterraneo. E non sappiamo quanti ne abbiamo uccisi nel deserto del Sahara e quanti cadaveri ci siano nelle fosse comuni libiche. Questo era quello che volevamo denunciare”.

È GIUSTO evocare la parola Olocausto? L’ha fatto anche Furio Colombo nel dibattito con il ministro Minniti alla festa del Fatto alla Versiliana. Forse no, e per svariate ragioni che proviamo qui a elencare. Lo sterminio di massa del popolo ebraico è stato perseguito dal Terzo Reich con rastrellamenti, deportazioni e omicidi di massa in maniera sistemica, in esecuzione di un agghiacciante programma di annientamento sulla base di un principio razzista è difficile affermare che i governi europei, pur mettendoci di fronte a situazioni inaccettabili come la giungla di Calais o le condizioni disumane dei Cie, pur avendo pesantissime responsabilità storiche, perseguano oggi un analogo disegno. Noi europei, ammesso che esista un noi, non deportiamo nessuno e non abbiamo ammazzato trentamila persone nel Mar Mediterraneo: il fatto che trentamila persone siano morte è un’immane tragedia, ma non possiamo dire che li abbiamo ammazzati. L’Italia ha fatto in questi anni, pressoché abbandonata dai Paesi Ue, un enorme sforzo di accoglienza che le fa onore. Può darsi che qualche politico, non solo in Italia, sia davvero razzista, ma possiamo dire che lo è lo Stato nel suo agire? Possiamo dire che lo Stato legifera non sulla base della Costituzione ma sulla base di una teoria fondata sulla prevalenza di una razza – termine biologicamente privo di senso – su un’altra? C’è poi una questione – non formale, sostanziale – che attiene al rispetto del popolo che l’Olocausto l’ha subito: non si può indignarsi quando qualche cretino cita a sfregio le circoncisioni e poi usare la Shoah come una bandierina. Se tutto è Olocausto, niente è Olocausto. Non vogliamo negare u n fenomeno epocale, tragico, che ci mette di fronte all’immensa ingiustizia delle disuguaglianze, però ha poco senso appiccicargli un’etichetta per una presunta analogia. Ci sentiamo più coinvolti, più responsabili di fronte alla parola Shoah? Forse solo più cattivi, ma non è colpevolizzando i disagi e le difficoltà dei cittadini che l’Europa salverà le migliaia di persone che fuggono da fame, guerre e povertà. E un dramma di tutti, ma non è l’Olocausto di tutti. Detto tutto questo, non si può reagire invocando l’intervento della magistratura, la Storia non si fa nei tribunali. Come ha scritto Adriano Prosperi, “l’ira è ottima consigliera quando si deve reagire alle ingiustizie, ma non è con l’inchiostro dell’ira che si possono scrivere le leggi”. Quel che c’è di sbagliato nel reato di negazionismo (che punirebbe chi nega l’Olocausto) è che si propone di perseguire un pensiero in sé, per quanto si tratti di un pensiero abietto. Le leggi illiberali restano tali anche se motivate dalle migliori intenzioni.