Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Gian Guido Vecchi
L’Italia delle leggi razziali «Oggi nessuno ricorda»
Trieste, 18 settembre 1938, mattina. Il cacciatorpediniere «Camicia Nera» attracca al «molo Audace» con «il Duce sulla plancia di comando». È la prima volta che si possono vedere per intero queste immagini, 34 minuti restaurati e digitalizzati dall’istituto Luce. La voce narrante informa sobria che la città è «un solo palpito di attesa e di amore» e in piazza dell’Unità ci sono 150 mila persone, camicie nere e fez, fazzoletti e applausi, gente sui davanzali. L’attesa del comizio, in effetti, è tragicamente giustificata: il discorso di Trieste è il primo e l’unico nel quale Mussolini, con toni raggelanti, annuncia in pubblico le «soluzioni necessarie» per affrontare il «problema ebraico» in quanto «problema razziale», spiega che per mantenere il «prestigio dell’impero» occorre «una chiara, severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime» e infine esclama tra le ovazioni: «L’ebraismo mondiale è stato durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo».
Bisogna guardarlo bene, perché questo è «il primo atto antisemita mediatico del regime», spiega lo storico Marcello Pezzetti, il segno che le cose precipitano. Il filmato sarà al centro di una mostra che dal 16 ottobre, in vista degli ottant’anni dalle leggi razziali, verrà allestita nella Casina dei Vallati, in largo 16 ottobre 1943, il luogo della razzia nazista del ghetto di Roma. Curata da Marcello Pezzetti e Sara Berger, della Fondazione Museo della Shoah, si intitola «1938» ed ha uno scopo molto semplice: «La gente non sa, i ragazzi non sanno che cosa sono state le leggi razziali. Con materiale quasi del tutto inedito — fotografie, immagini, documenti — facciamo vedere ciò che è accaduto».
A Trieste è lo stesso Duce a smentire le tesi riduzioniste che lo vorrebbero condizionato da Hitler: «Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni o peggio a suggestioni sono dei poveri deficienti». Il documento programmatico dell’antisemitismo biologico, «Il fascismo e i problemi della razza», era uscito il 14 luglio 1938. In agosto il regime schedò la popolazione ebraica, un censimento prezioso per le deportazioni naziste. All’inizio di settembre arrivò la cacciata di studenti e insegnanti «di razza ebraica» da tutte le scuole. Dopo Trieste, nelle sedute del 7, 9 e 10 novembre, il consiglio dei ministri approverà il «corpus» delle leggi razziali, la morte civile della popolazione ebraica, l’espulsione da ogni impiego pubblico, dalle professioni, i divieti sulla proprietà e i matrimoni «razzialmente misti».
Nella mostra fanno impressione gli schemini disegnati a mano dagli «esperti» di «Demorazza», nel ministero dell’Interno, per calcolare il grado di «razza ebraica», le immagini dei cartelli sulle vetrine («Proprietari o personale di questa libreria sono ariani») o degli ebrei in giacca e cravatta costretti al «lavoro obbligatorio» con ramazze e picconi. La perversione burocratica produce decine di circolari grottesche, pure divieti sui «saltimbanchi girovaghi» o «gli allevatori di piccioni viaggiatori». I ricercatori hanno trovato un verbale nel quale il presidente del Coni e quello della Federcalcio dispongono la cacciata degli atleti e degli sportivi ebrei: come Arpad Weisz, l’allenatore che vinse uno scudetto con l’Inter e due con il Bologna e morì ad Auschwitz.
Un’altra mostra, sempre allestita da «Cor», racconterà in aprile le vicende delle persone. «Se ne sente un gran bisogno», sospira Pezzetti: «Allora “italiano” e “ariano” divennero sinonimi. Oggi si torna a parlare di “veri italiani” e cose simili. La mostra non ha riferimenti all’attualità perché sarebbe pleonastico. Il virus razzista sta penetrando nelle coscienze. Qui noi lo facciamo vedere: guardate i danni che ha fatto».