2 Marzo 2016

Relazione quadriennale (1986 – 1990) di Adriana Goldstaub sull’antisemitismo in Italia per il I Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (ma XIII dell’ex Unione delle Comunità Israelitiche Italiane)

Fonte:

Osservatorio antisemitismo - Rassegna mensile di Israel

Autore:

Adriana Goldstaub

L’antisemitismo in Italia. Una lettura della documentazione raccolta dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea tra il 1986 e il 1990

1) IL PREGIUDIZIO ANTIEBRAICO IN GENERALE

Quantità e qualità dei segnali raccolti

Questa relazione, presentata al I Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (ma XIII dell’ex Unione delle Comunità Israelitiche Italiane), copre il periodo intercorso tra il XII Congresso e I’estate del 1990 e più precisamente dal novembre del 1986 all’agosto del 1990. Durante tale periodo sono stati raccolti e centralizzati dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) di Milano circa 300 segnali di antisemitismo che sono andati ad aggiungersi al fondo documentario costituito su questo tema già negli anni precedenti.

I documenti raccolti sono di vario genere: a) articoli che riferiscono episodi di antisemitismo, b) articoli che nel loro contenuto rivelano un pregiudizio negativo nei confronti degli ebrei, c) resoconti di fatti accaduti a singoli o dei quali singoli siano stati testimoni, d) fotografie che documentano prevalentemente scritte murali, e) lettere di insulti o minacce ricevute da singoli o da istituzioni ebraiche, f) schede bibliografiche di libri antisemiti, g) materiali di propaganda di negazione della Shoà. Essi provengono da varie fonti: le comunità ebraiche sparse nella Penisola, I’ufficio stampa dell’Unione delle Comunità, singoli collaboratori sensibili al problema che da varie città si mettono in comunicazione con il CDEC, la rete di collaboratori, interni o esterni, addetta alla lettura e all’analisi della grande stampa quotidiana e periodica.

Accanto all’archivio di segnali di pregiudizio puro e semplice, il CDEC conserva anche tutto quel complesso di materiali che può tornare utile all’interpretazione dei segnali stessi; appositi dossier sono stati creati per avvenimenti che abbiano segnato nodi fondamentali nei rapporti tra la minoranza ebraica e la maggioranza quali: l’affare Waldheim, la questione del Carmelo di Auschwitz, i fatti di Carpentras, le dichiarazioni pubbliche del Papa o della gerarchia della Chiesa, l’affare Jenninger, eccetera . Mentre  particolare attenzione è stata posta all’informazione sugli ebrei, sull’ebraismo e sullo stato d’Israele in generale e ai dibattiti culturali e politici in corso.

Per la natura stessa della ricerca delle segnalazioni esterne, che avvengono su base volontaristica quando non addirittura casuale, il materiale che presentiamo è lacunoso per qualità e quantità e non rappresenta altro che ciò che si è riusciti, con molti sforzi, a registrare nel corso del quadriennio passato. Al contrario, la rilevazione di episodi di antisemitismo emergenti dalla grande stampa, quotidiana e periodica, è stata sistematica e organizzata.

La qualità dei segnali prodottisi di anno in anno è variabile e legata all’ appuntarsi dell’attenzione dell’ opinione pubblica su grandi avvenimenti, nazionali o internazionali, che abbiano coinvolto in qualche modo ebrei o comunità ebraiche.

È il caso ad esempio del periodo fra la fine del 1987 e la metà del 1988 durante il dibattito sui precedenti nazisti del presidente austriaco Kurt Waldheim, ma soprattutto, è il caso del periodo iniziale dell’Intifada, il 1988. Quest’ultima, infatti, fa da «esca» (specie nei primi mesi dell’anno) al manifestarsi di ogni specie di pregiudizio antiebraico emerso in alcuni ambiti culturali e sociali. Partiamo infatti da una ottantina di segnali nel 1987, saliamo a 126 nel 1988, ritorniamo a circa 70 nel 1989. Nella prima metà del 1990 ne sono stati raccolti già una sessantina.

A preoccupare però non è tanto il numero dèi segnali, quanto la loro qualità, come avremo occasione di notare più avanti.

Dal punto di vista della distribuzione geografica, il primato quantitativo dei segnali va a Milano, segue Roma, e infine un terzo del totale è sparpagliato in una serie di piccoli e grandi centri dell’Italia centro-settentrionale, non sempre sedi di comunità ebraiche.

occorre sottolineare che – con grandissima probabilità – ‘alto numero di segnali raccolti a Milano e a Roma, testimonia sì una maggiore quantità di antisemitismo in queste città, ma certamente è anche frutto della presenza sul posto di strutture atte a raccogliere le testimonianze, presenza, che facilita le segnalazioni da parte di testimoni. Questo stesso fattore influenza sicuramente anche il totale complessivo perché, all’opposto, laddove è lontano il punto di raccolta, si rallenta o si annulla l’attività di denuncia.

La distribuzione geografica varia a seconda degli anni: il 1988 e il 1989 vedono una maggiore diffusione di segnali nei centri medi e piccoli (rispettivamente 50 su 126 e 36 su 70). Sono questi gli anni in cui il manifestarsi del pregiudizio antiebraico risulta strettamente connesso con la rivolta palestinese nei territori occupati e le misure messe in atto dal governo israeliano, segno evidente del vasto coinvolgimento dell’opinione pubblica su questo tema.

Quanto alle matrici culturali, si mantiene alto come in passato il numero dei segnali collegabili alla destra radicale (fino alla metà del totale) mentre sono sempre presenti sia segnali di pregiudizio di origine cattolica (da 10 a 20% del totale), sia quelli legati ad ambiti di sinistra ( da 5 a 10% del totale).

Da una decina d’anni a questa parte si è però affermato un antisemitismo trasversale che percorre indistintamente strati della società civile senza soluzione di continuità. Fino agli Anni Settanta, le matrici culturali politiche e ideologiche dell’antiebraismo erano facilmente deducibili attraverso l’analisi delle idee proposte, del lessico usato o, perfino, dei mezzi veicolanti (giornali, manifesti, incontri culturali, manifestazioni pubbliche, attività di militanza politica). Negli ultimi anni, al contrario, si sono moltiplicati i casi in cui le matrici culturali sono divenute inidentificabili, tale è ad esempio l’affermazione che vi sia una speciale propensione degli ebrei all’uso del denaro quale mezzo per dominare il mondo. A ciò si aggiunga che alcuni temi che erano nati in contesti ideologici ben precisi sono sconfinati in ambiti più ampi e sono divenuti in un certo senso più «popolari», l’apologia delle persecuzioni naziste era, fino a qualche tempo fa, esclusivo appannaggio della destra radicale, mentre oggi, proposizioni tipo «Hitler avrebbe dovuto ucciderli tutti» possono essere pronunciate anche da persone che si ritengono democratiche e progressiste.

Le ragioni di tale fenomeno sono molteplici, la prima è probabilmente da ricondursi a un generale confluire degli estremismi politici degli Anni Settanta in un ampio alveo centrale nel quale «scorre» una cultura che raccoglie temi sociali, politici e ideologici tanto da destra quanto da sinistra. Un altro fattore è senz’altro il «riassorbimento» nell’opinione pubblica dello shock provocato dalla Shoà accompagnato da un clima di accesa critica nei confronti della politica di Israele; questi due fattori combinati hanno diminuito la simpatia e la solidarietà aprioristica verso gli ebrei permettendo che si rimettessero in circolazione espressioni stereotipate che sembravano, nei primi trent’anni del dopoguerra, essere uscite dal vocabolario italiano.

C’è poi un terzo motivo che prende le mosse da quello precedente: una confusione semantica messa in atto da una parte della stampa nazionale, ma anche da dirigenti delle forze sociali a vario livello, da gruppuscoli politici radicali, da frange dei movimenti giovanile, da esponenti della destra estrema e perfino della sinistra parlamentare. Costoro, semplificando e banalizzando i termini del conflitto tra Israele e i palestinesi, presentano il primo come novella Germania nazionalsocialista e i secondi come nuovi ebrei, fondono governo con popolo d’Israele e quest’ultimo con ebrei della diaspora; è capitato perfino di registrare un accostamento tra ebrei «deicidi» e palestinesi perseguitati divenuti ora, simbolicamente, nuovi Gesù Cristo.

Segnaliamo con forza l’appiattimento e la banalizzazione del linguaggio perché essi ci sembrano il maggior indice di pericolo: quando infatti i temi antiebraici che circolano sono molti, diversi fra loro, ramificati e interconnessi, diventano applicabili a qualunque situazione, dalla lotta per la concorrenza commerciale alla ricerca di una soluzione per un problema nazionale.

In questo quadro, un rischio non remoto potrebbe essere il confluire delle tesi negazioniste della Shoà nel grande calderone della cultura popolare. se infatti per ora essi rimangono patrimonio della destra estrema con qualche «contagio» alla destra cattolica, ci sono però preoccupanti segni di estensione a vari ambienti sociali.

Infine, ci sembra importante ricordare un ulteriore fenomeno che si è venuto affermando negli ultimi tempi: I’uso della parola «ebreo» (più raramente «rabbino») come termine dispregiativo. Questa abitudine si è divulgata soprattutto nella fascia giovanile della popolazione, nella conflittualità ritualizzata tra bande e in particolar modo attraverso il tifo sportivo. Sono numerosissimi gli esempi di scritte murati, di slogan urlati allo stadio, di cartelli e di striscioni innalzati durante le partite in cui si dà dell’ebreo alla squadra avversaria, ai suoi tifosi. Talvolta si fa riferimento ai campi di sterminio per augurare la stessa fine agli avversari («Hitler: con gli ebrei anche i napoletani», Stadio di San Siro a Milano, 25 febbraio 1990;  «Ebrei terroni stessa razza stessa fine», Garbagnate, settembre 1989 dopo una vittoria dell’Inter).

Abbiamo parlato finora soprattutto di manifestazioni, verbali o scritte, di pregiudizio perché largamente predominanti nel panorama dalla raccolta dei segnali: gli atti di aggressione fisica sono per fortuna molto rari. Bisogna però notare, rispetto al quadriennio precedente, da una parte un certo aumento del tasso di violenza e dall’altra una maggior tendenza a prendere di mira, oltre che le istituzioni, anche i singoli ebrei con lettere e telefonate di offese o di minacce, o direttamente faccia a faccia. Tale è ad esempio il caso di due bombe molotov lanciate nell’aprile del l988 a Roma contro il negozio appartenente a un ebreo romano. Si registrano inoltre episodi di antisemitismo che si riferiscono a giovanissimi, cosa mai segnalata nel passato: due casi recenti vedono un bambino e una bambina intorno ai dieci anni dileggiati e offesi – il primo dai suoi coetanei in un Kinderheim e la seconda dai compagni del corso di nuoto – proprio in quanto ebrei.