18 Febbraio 2022

Recensioni di recenti studi su Adolf Hitler

Fonte:

Osservatorio antisemitismo

Autore:

Alberto De Antoni

Hitler: Biografia di un dittatore, Carocci 2021; ed. or., München 2018

«L’ombra lunga di Adolf Hitler incombe sulla storia tedesca ed europea. Il suo nome è legato al ricordo della dittatura, della guerra, del genocidio. Lui è la quintessenza del male, è il mostro». Con queste parole inizia una recente biografia hitleriana e non c’è alcuna ragione per respingerle. L’autore, Hans–Ulrich Thamer, è uno storico accademico tedesco già noto in Italia per una corposa storia delle Germania sotto il nazismo (Verfuhrung und Gewalt. Deutschland: 1933-1945, Berlin 1986; trad. it., il Mulino 2001). Il recente testo (Hitler: Biografia di un dittatore, Carocci 2021; ed. or., München 2018) è piuttosto una sintesi biografica e indirettamente dell’immensa mole degli studi dedicati al dittatore con cui si cerca di coniugare l’elemento personale, la storia, la società e la politica nonché le catastrofi della Guerra e della Shoà. Il punto d’equilibrio di tutti questi fattori è la caratteristica del testo.

Molto probabilmente ha la stessa origine anche la biografia hitleriana di Johann Chapoutot e Christian Ingrao, (Hitler, Laterza 2021; ed. or., Paris 2018), anch’essi due storici da tempo impegnati nello studio di alcuni settori dell’esperienza nazista: il primo più interessato alle politiche istituzionali e culturali (Fascisme, nazisme et régimes autoritaires en Europe, 1918-1945, Paris 2013; trad. it., Einaudi 2015, e La loi du sang. Penser et agir en nazi, Paris 2014; trad. it., Einaudi 2016) e alle loro influenze nella Germania post bellica (Libres d’obeir Le management, du nazisme à aujourd’hui, Paris 2020 ; trad it., Einaudi 2021); il secondo volto agli apparati più micidiali e mortali del nazismo (Croire et détruire. Les intellectuels dans la machine de guerre SS, Paris 2010 (trad. it., Einaudi 2012). Ingrao è anche l’autore di una monografia, non tradotta in italiano, su uno dei più micidiali e criminali reparti – se non il peggiore – delle SS (Les chasseurs noirs. La brigade Dirlewanger, Paris 2006).

   Queste due ultime biografie si uniscono a quelle monumentali e definitive uscite negli ultimi anni – Ian Kershaw, Peter Longerich e Volker Ullrich -, testi in verità destinati a studiosi o a un pubblico colto e ingestibili ai più per un primo approccio all’argomento. Ci si augura che nel campo degli studi le due impostazioni della biografia riescano a coesistere: la trattazione breve all’interno di uno studio del Novecento, quella lunga per l’approfondimento più specifico. Del resto le vaste bibliografie apposte in indice a questi ultimi saggi costituiscono un punto di partenza per muoversi all’interno di produzioni saggistiche che ormai hanno raggiunto proporzioni inimmaginabili.

   Ma al di là di queste ultime considerazioni le biografie suddette indicano che sia arrivato il momento di una definitiva storicizzazione dell’affaire Hitler: tutto ciò che si poteva e si doveva scrivere è stato fatto ed è altamente improbabile che un autore si accinga a una nuova biografia. In pendant a queste ultime considerazioni agisce da contrappunto la scomparsa, per ovvi motivi d’ordine anagrafico, dei testimoni-sopravvissuti della Shoà. Il che rende urgente una risposta a una questione sconcertante: se rinchiudiamo la Shoà nella storia – com’è logico che avvenga – non ne limitiamo la portata relativizzandola? Ma se, d’altro canto, l’astraiamo dalla storia assolutizzandola a crimine per eccellenza dell’umanità – come è giusto che sia peraltro – non si corre il rischio di creare una sorta di metafisica estrapolata dai dati, dagli elementi e dalle responsabilità che l’hanno prodotta?