26 Ottobre 2017

Reazioni alla lettura negli stadi di brani del Diario di Anna Frank, antologia di articoli

Fonte:

Corriere della Sera

Autore:

Francesco Battistini

Le magliette di Anna Frank

Ma tra gli ultrà c’è chi fischia

Negli stadi letture e applausi. I tifosi laziali intonano: «Me ne frego»

«Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure…». La pena di Anna Frank desertifica per un minuto l’odio da stadio, muta le gradinate e ammutolisce le belve da curva. Serie A, decima giornata. Di recupero. Della memoria. Aspettate a correre sulle fasce, c’è da rincorrere i fasci, che siano solamente i «quindici minus habens» liquidati dalla Lazio o i tanti «deficienti» ai quali il sopravvissuto Alberto Mieli, 93 anni e due passati in un lager, vorrebbe chiedere «che cosa c’entra il calcio con Anna Frank?». Si fermano i cori blasfemi per leggere le pagine sacre della soffitta di Amsterdam: dedicate a quegl’Irriducibili per i quali «il bene della Lazio è assoluto e primario» (parole del comunicato di ieri), ignoranti del male assoluto che ingoia le loro coscienze. Ogni capitano entra in campo e regala un Primo Levi da campo di concentramento al bambino che l’accompagna: se questo è un uomo, un giorno, si spera venga meglio di quelle bestie là. Scambio dei gagliardetti, lancio della monetina, abbraccio motivante a metà campo. #siamotuttiannafrank, ma è tutto un attimo. Il tempo d’un tweet solidale, d’autografare le copie omaggio: la riflessione è poco più d’una flessione e non costa grande sforzo, forza ragazzi famo sta sceneggiata ché poi si gioca. Si comincia con l’anticipo di Bergamo ed è retorica pura. Che rumore le pagine del «Diario» sfogliate prima d’Atalanta-Verona. Che silenzio su due celebri curve, per dirla con quel gaffeur di Lotito, da sempre impegnatissime «contro ogni forma d’antirazzismo e antisemitismo»: gli ultrà atalantini, che Carletto Mazzone definiva «razzisti al cento per cento» e un tempo boicottavano perfino il tesseramento dei giocatori israeliani; i fanatici dell’Hellas, che quest’estate festeggiavano Hitler al Bentegodi («ma era solo una goliardata!») e cantavano «una-squadra-fantastica-fatta-a-forma-di-svastica…» Anna chi? A Bergen-Belsen la Fifa non aveva maiuscole, ed è spaventosamente sincero íl Mihajlovic allenatore Toro che ammette l’ignoranza: «Non voglio neanche immaginare che non sappia», s’indigna la figlia di Ernest Erbstein, allenatore ebreo e granata morto a Superga. «Nessuna curva italiana è immune dall’antisemitismo», scrive il giornale gerosolimitano Haaretz. La San Luca del Dall’Ara è dedicata da anni ad Arpad Weisz, l’ebreo ungherese che faceva tremare il mondo col Bologna prima di finire ad Auschwitz, ma gl’Irriducibili dell’Aquila laziale mica è per quello che l’hanno desertificata: macché, loro sanno cosa c’è sotto questa buriana, non sono venuti in trasferta «per non essere complici del teatro mediatico di queste ultime ore». Pensiero Immobile, e non c’entra il Ciro centravanti che li fece godere quando segnò a Israele: a Bologna, un centinaio senza vergogna riesce pure a cantare a braccio romano il «me ne frego», mentre la squadra di Lotito si riscalda con indosso la candida maglietta «no all’antisemitismo» e un ritratto della Frank (un altro, per nulla sorridente): è per contratto di solidarietà che ci hanno stampato sopra, anche lì, il brand dello sponsor? Curve piene, teste vuote: qualche fischio dalla Fiesole di Firenze, durante il minuto silenzioso; ultrà juventini voltati di spalle a cantare l’inno di Mameli, mentre l’ebraista Corradini leggeva il «Diario»; forza-Roma-Roma-olé dalla curva Sud dell’Olimpico, dov’era girato domenica il fotomontaggio in giallorosso e dove, più che altrove, un bel tacer si sarebbe dovuto scrivere. «…Eppure, quando guardo il cielo — è la chiusa d’Anna Frank, letta prima che s’aprano i giochi —, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace, la serenità». A Bologna, prima di fare gol, Lulic posa dei fiori sulla lapide di Weisz. Chissà se oggi saranno ancora lì, o butteranno nel fiume pure quelli.