Fonte:
www.mosaico-cem.it
Autore:
Marina Gersony
È un pirata del cyberspazio, il nuovo antisemita
Dilaga sui social media, Twitter, Facebook, YouTube. Spesso banalizzato, l’antisemitismo non è più avvertito come minaccia. Che sia di estrema destra, di matrice arabo-islamica, cospirazionista, travestito da antisionismo… Il Rapporto nazionale sull’Antisemitismo 2015, presentato dal CDEC, ci spiega un fenomeno proteiforme, difficile da catalogare. Radiografia di un nuovo antisemitismo in crescita
C’è chi paragona l’attuale impasse europea a quella della Repubblica di Weimar negli anni Venti. C’è chi osserva con crescente pessimismo il diffondersi dei nuovi miasmi antisemiti nelle metropoli europee; e c’è qualcosa di assolutamente straniante nel fatto che proprio in questo momento si stia celebrando uno degli ultimi processi penali contro il nazismo: il processo a Reinhold Hanning, 94 anni, guardia SS di Auschwitz accusato di complicità negli omicidi di almeno 170 mila persone. Fa impressione vedere in tv tre ebrei ultranovantenni, sopravvissuti ai lager, comparire in un’aula di tribunale proprio mentre in Europa si torna a morire per degli attentati antisemiti. Germania, Olanda, Belgio, Danimarca, Gran Bretagna, Francia, in prima linea: qui, l’ostilità verso gli ebrei sembra aver subito, negli ultimi anni, una decisa accelerazione. I dati parlano chiaro: aggressioni, incendi dolosi e atti vandalici che costringono molti ebrei a non frequentare le istituzioni e le sinagoghe evitando di portare simboli religiosi per motivi di sicurezza. Molti dichiarano di aver paura perfino di camminare per strada. Pensiamo agli attacchi al Museo ebraico di Bruxelles, al Tempio di Copenhagen, all’Hyper Cacher di Parigi, agli accoltellamenti a Marsiglia, piuttosto che alle sparatorie alla scuola di Tolosa e, non ultima, l’aggressione di un ebreo ortodosso a Milano. Una realtà che induce, dolorosamente, molti ebrei europei a interrogarsi sul loro futuro nei Paesi dove sono nati e risiedono. In Francia soprattutto, dove un’adesione alla République è diventata sempre più complessa, costringendo un numero crescente di ebrei a fare l’Aliyà: l’ultimo bollettino dell’Agence Juive, la Sochnut, parla di 7.900 ebrei che nel 2015 hanno deciso di fuggire dalla Francia verso Israele, dove si sentono più al sicuro.
«Sembrerebbe che la memoria della Shoah non sia servita a granché: l’antisemitismo, mutante anche in antisionismo, con il suo corredo di discredito, violenza e morte, è vivo e vegeto, più aggressivo che mai in Europa e in terra di Islam -, scrive rav Giuseppe Laras, Presidente del Tribunale Rabbinico del Nord Italia, in un recente e dibattuto articolo apparso sul Corriere della Sera -. I giornali riportano bollettini di opinioni e fatti antisemiti. Non accadeva nulla di simile, con tale intensità e frequenza, dalla caduta del nazismo, inclusa l’ignavia di troppa cultura e politica occidentale. Si è sconfitto il nazismo perché gli ebrei debbano abbandonare nuovamente l’Europa o per vedere accostati da alcuni, con falsità e perversa immoralità, nazifascismo e sionismo? Si è sconfitto il nazismo per tacitamente accordarsi con chi vuole distruggere Israele e inficiare così ogni costruttiva, ancorché talvolta severa, critica che tale Stato, come qualsiasi realtà statuale, necessita? Conservare e trasmettere la memoria serve allora poco o niente? Se così fosse, sarebbe disperante. Potrebbe invece essere che questa memoria, che ci sforziamo di conservare e di attualizzare, in realtà non sappiamo trasmetterla come occorrerebbe, nonostante la grande dedizione di molti».
Sono le parole lucide e accorate di chi ha una percezione come pochi altri della realtà dei fatti («Posso testimoniare che, come molti ebrei, sono nato con l’antisemitismo e con esso sono invecchiato»): dopo aver perso la madre a Ravensbruck quando era solo un bambino, rav Laras, dall’alto dei suoi 81 anni, esprime la sua profonda preoccupazione per un antisemitismo crescente ovunque. Un antisemitismo che va contrastato come strategia della civiltà.
Ma l’impresa è tutt’altro che semplice. Le nuove narrazioni dell’antisemitismo complicano la definizione di un fenomeno proteiforme e difficile da catalogare. «L’antisemitismo è un continuum: parte da un pregiudizio “classico” con tutti gli stereotipi sociali che riguardano gli ebrei, a un pregiudizio spesso silente che si esprime occasionalmente ma che in generale viene sottaciuto – spiega Betti Guetta, responsabile dell’Osservatorio antisemitismo del Centro di documentazione Ebraica contemporanea di Milano (CDEC) -. Posti di fronte ad affermazioni (item) anche molto ostili verso gli ebrei, una percentuale alta di italiani, intorno al 50 per cento, non condivide né disapprova, non esprime un’opinione, rifugiandosi in una zona grigia che equivale a indifferenza. Ma nella non risposta c’è una risposta. E questo è già un indicatore».
A gennaio, il CDEC – in collaborazione con la Comunità Ebraica di Milano -, ha presentato il Rapporto nazionale sull’antisemitismo 2015, dove sono stati illustrati i principali casi di antisemitismo in Italia, con uno speciale focus su quanto emerge da Facebook e con una panoramica dedicata all’antisemitismo in Europa (Video della conferenza: www.streamera.tv/movie/117712/desktop-2016-01-28-12-53-11/iframe).
«Da molti anni la nostra missione consiste nel monitorare e osservare l’antisemitismo. E l’osservazione è una cosa molto complessa e composita. Parlare di numeri è riduttivo e in alcuni casi fuorviante. Perché spesso gli atteggiamenti e gli episodi di antisemitismo non vengono denunciati per paura, vergogna o per una sorta di tabù», osserva Betti Guetta. E in effetti parlare di antisemitismo non vuol dire soltanto raccogliere dati, testimonianze e analizzare la storia. Vuol dire distinguere tra un atteggiamento, un pregiudizio, un’antipatia e un’azione: «Nel 2009 abbiamo fatto uno studio piuttosto sofisticato per capire non solo quanti sono gli antisemiti ma anche chi sono e perché lo sono – cosa per altro complessa perché prima bisogna definire cosa sia l’antisemitismo -»,
prosegue Guetta. Come dire che l’antisemitismo non è una variabile unica, può essere un atteggiamento o un’ideologia o un’insieme di variabili con diversi indicatori. Per esempio, buona parte del dibattito pubblico degli ultimi decenni è ruotato intorno al concetto di un “nuovo antisemitismo” connesso soprattutto a Israele e sui rapporti tra antisionismo e antisemitismo. Ma vi è anche un antisemitismo delle estreme destre europee o un antisemitismo arabo-musulmano, ipotesi, quest’ultima, meno condivisa dagli studiosi tedeschi che vi individuano un atteggiamento autoassolutorio europeo e una crescente islamofobia. Per non parlare delle teorie cospirative di stampo antisemita, la negazione della Shoah e i classici temi dell’antisemitismo (accusa di deicidio, omicidio rituale, pratica dell’usura e così via).
«Nel 2014 è nata l’Antenna dell’Antisemitismo dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), che ci ha permesso di registrare moltissimi episodi di antisemitismo – informa Guetta -. In Italia sono circa una novantina (il rapporto definitivo è previsto entro il mese prossimo, ndr). Va precisato che le segnalazioni sono molte di più ma vanno esaminate e valutate di volta in volta per stabilirne la veridicità. Dei 90 casi che abbiamo individuato, una parte riguarda i graffiti, le scritte e le vignette; l’altra parte – molto preoccupante e che prima non era presente in Italia -, si configura con una violenza verbale che si esprime attraverso la diffamazione e gli insulti veicolati dal web che autorizza a dire di tutto con la copertura dell’anonimato».
Di fatto l’antisemitismo odierno si è trasferito online: «Nel 2015 abbiamo ricevuto moltissime segnalazioni – racconta Stefano Gatti, responsabile dell’Antenna Antisemitismo -. E più o meno il 60 per cento di queste segnalazioni riguardano forme di antisemitismo diffuse attraverso il web, principalmente su Facebook, ma anche Twitter o You Tube». Gatti, che si occupa anche della diffusione dei contenuti offensivi del web, già in passato aveva rilevato come il cyberspazio avesse creato un ambiente di banalizzazione dell’antisemitismo non più avvertito come una minaccia o un’aberrazione. «Nel corso degli ultimi 15 anni, il web ha iniziato a configurarsi come una sorta di ambiente ideale per la diffusione delle tematiche del razzismo, della xenofobia e dell’antisemitismo – sostiene il ricercatore -. Nel 1995 era stato censito un solo sito a carattere razzista, numero che ha subìto una crescita esponenziale anche grazie al fatto che il web garantisce anonimato e impunità. Nel mondo, nell’anno 1997 i siti sono saliti intorno ai 600; due anni dopo, nel 1999, sono diventati 1500. Attualmente, a livello planetario, sono intorno ai 30 mila». Una cifra allucinante.
Una crescita progressiva con una svolta determinante nel 2004, quando la tecnologia World Wide Web 1.0 si è evoluta in World Wide Web 2.0, web sociale che ha consentito agli utenti di internet di passare da meri fruitori a creatori di contenuti. «Abbiamo registrato circa 200 siti web antisemiti e li abbiamo tipologizzati all’interno di quattro macro aree: la più ampia è quella riconducibile al neonazismo con un centinaio di siti a cui si aggiungono un antisemitismo classico, i profili sul negazionismo e il nuovo antisemitismo collegato allo Stato di Israele», afferma Gatti. Il dato che colpisce è che solo il 20% di 2mila post segnalati sono stati eliminati, in quanto i gestori non ritengono la maggior parte di questi contenuti un incitamento all’odio. Soprattutto negli Usa, dove vige una libertà di pensiero assoluta: qualora un profilo dovesse essere segnalato e chiuso, aprirne uno nuovo non sarebbe certo un problema.
«Dobbiamo tenere conto che il termometro si sta alzando anche nelle scuole italiane, quindi dobbiamo prepararci a utilizzare le medicine giuste che sono fatte di dialogo, di comprensione: per cercare di combattere i pregiudizi fin dall’inizio sapendo che se un ragazzino di quattordici anni contesta un ex deportato e la Shoah nel suo complesso, probabilmente non è un’idea sua bensì indotta da qualcuno. In questo senso bisogna capire se è una questione famigliare, culturale, religiosa o quant’altro», afferma Davide Romano, Assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano, presente in sala durante la presentazione del Rapporto. E conclude: «È sempre necessario tenere gli occhi aperti e non lasciare che le cose vadano come purtroppo sono andate in Francia. L’antisemitismo è un affare complesso».