Fonte:
Pagine Ebraiche
Pagine Ebraiche – SWG
Memoria, valore necessario, valore minacciato
“I dati – spiegano i ricercatori di SWG – fanno riferimento alle rilevazioni condotte nel quadriennio 2014-2017, su campioni rappresentativi di propri communiter, attraverso rilevazioni cawi effettuate nel periodo compreso tra il 12 e il 22 gennaio di ogni anno.
I campioni 2014, 2015, 2017 sono composti da 1000 soggetti; il campione 2016 è composto da 1200 soggetti rappresentativi della popolazione italiana maggiorenne”.
“Le domande sono state inserite all’interno di indagini più ampie che comprendevano anche altre tematiche di tipo sociale, politico e di costume.
Obiettivo generale dell’iniziativa è produrre un monitoraggio annuale della percezione che gli italiani hanno del fenomeno, verificandone la conoscenza spontanea e sollecitata, la percezione di rilevanza e il grado di coinvolgimento”.
“La lettura trasversale dei dati – questa l’analisi – evidenzia come, al di là delle oscillazioni sul ricordo diretto del significato della data del 27 gennaio, (a questo riguardo va ricordato che il dato 2017 potrebbe essere stato influenzato dalla risalto dato dalla stampa, nei giorni della rilevazione delle attività promosse dall’UCEI in occasione delle ricorrenza) il dato tendenziale confermi la progressiva erosione del significato profondo attribuito a questa giornata”.
Per quanto minoritaria, la percentuale di chi attribuisce a questa iniziativa un valore unicamente retorico è raddoppiata in quattro anni, mentre si è sensibilmente ridotta la quota di chi lo definisce necessario o dovuto.
“Il Giorno della Memoria sta lentamente scivolando verso una accezione essenzialmente formativa e scolastica, correndo il rischio di essere vissuto sempre meno come un qualcosa di coinvolgente e significativo. Un evento ancorato al passato e non all’oggi, che va ricordato per la sua valenza formativa, ma che rischia di perdere di vitalità rispetto al presente”.
Il raddoppio di coloro che pensano che non serva più a nulla è il dato più inquietante e il vero misuratore della percezione della Memoria da parte dell’opinione pubblica. Inquietante perché segna un progresso e si consolida di anno in anno, attribuendo ai rilievi statistici, operati per quattro anni a una distanza di 12 mesi uno dall’altro, una credibilità di molto rafforzata. Inquietante perché segna una forte progressione, raggiunge il raddoppio in 48 mesi e rappresenta ormai circa un quarto della popolazione.
Da tenere presente anche la crescita dell’affermazione, gravissima, secondo la quale il Giorno della Memoria servirebbe “solo agli ebrei”. Dallo zoccolo di partenza del 15 per cento nel 2014 siamo ora al 17 per cento nel 2017. Un’affermazione che disconosce la realtà dei fatti. La Memoria, in effetti, serve alla società italiana, alla democrazia, alla tutela dei valori e dei diritti che ci fanno tutti cittadini e tutti esseri umani. Gli ebrei non hanno purtroppo bisogno di una legge dello Stato per ricordare. Interessanti anche i rilievi più specifici che cercano di identificare i motivi percepiti dell’utilità attribuibile al Giorno della Memoria. Gli indicatori dimostrano tutti un lieve regresso e l’affermazione “aiuta a mantenere viva l’attenzione” passa dal 90 per cento di condivisione all’85 per cento. Ovviamente resta una larghissima maggioranza di italiani che si sentono coinvolti. Ma si tratta di un numero che di anno in anno va riducendosi.
Ricordare è “un atto dovuto”? La percentuale di coloro che condividono questa affermazione scende dal 45 al 37 per cento. Così come appare in forte calo l’indicatore di coloro che pensano che si tratti di un atto “necessario”. In maniera speculare raddoppia (dall’8 al 16 per cento) chi ritiene che si tratti di un atto “retorico” e chi ritiene (dal 5 al 9 per cento) che si tratti di un atto “inutile”. In sensibile crescita, ma solo apparentemente in controtendenza, chi ritiene che si tratti di un atto “formativo”. Relegare al mondo della scuola un valore può infatti costituire uno dei processi di dissociazione di determinate categorie di cittadini che non sono più disposte a farsene carico in prima persona, tendono a negare l’universalità e la quotidianità della Memoria e preferiscono neutralizzare questo elemento circoscrivendolo nel contesto delle istituzioni educative.
Secondo lei gli italiani si sentono, verso la celebrazione del Giorno della Memoria, molto, abbastanza, poco o per nulla coinvolti?
(% al netto dei «non so»)
Chiedere al singolo di interpretare una tendenza presente nella società in cui vive è una delle strategie disinibitorie più comunemente utilizzate dai sondaggisti. Attribuire agli altri quello che noi stessi vorremmo dire ma che siamo restii a dichiarare perché ci vergogniamo a farlo è la strada più facile per dire quello che davvero abbiamo in mente. Il campione sociologico interrogato attribuisce alla percezione collettiva della società italiana un ridotto coinvolgimento nei confronti delle iniziative istituzionali sulla Memoria. E questo indicatore è in sensibile ascesa. Il calo della percezione del valore riguarda tutte le sfumature della percezione (molto, abbastanza, per niente). Il momento della verità è quando proiettiamo i nostri sentimenti sulla collettività evitandoci l’imbarazzo di un’affermazione diretta.
E lei personalmente, quanto si sente coinvolto?
(% al netto dei «non so»)
Ed ecco l’altra faccia della medaglia. Quando, dopo aver espresso in maniera disinibita la propria opinione attribuendola all’insieme della società, allo stesso quesito si deve rispondere in prima persona, le cose cambiano radicalmente. Quando dobbiamo uscire allo scoperto siamo tutti più civili, o almeno vogliamo cercare di sembrarlo. Ma per l’analisi sociologica il problema resta. Anche in questo caso, e nonostante tutto, infatti, la tendenza alla perdita della percezione del valore della Memoria resta e l’erosione si conferma comunque. Chi alla vigilia del Giorno della Memoria si sente di affermare apertamente che percepisce poco o per nulla questa data sale così dal 35 al 42 per cento in 48 mesi. Chi sostiene di percepirla “molto” cala dal 19 al 14 per cento.
Il dato forse più difficile da interpretare riguarda la percezione dell’antisemitismo. Qui il sondaggista che cerca di ottenere indicazioni credibili non può ovviamente avventurarsi e mettere l’interrogato di fronte a una domanda diretta. A nessuno viene quindi chiesto direttamente se si sente antisemita, ma si cerca di far proiettare al campione sociologico un’immagine da attribuire più asetticamente all’opinione pubblica in generale. Il problema è molto complesso e richiederebbe ovviamente indagini più approfondite, mentre in questo caso viene evocato a margine di un ragionamento sulla percezione della Memoria.
In ogni caso è possibile notare una tendenza alla crescita graduale di coloro che tendono a negare sentimenti antisemiti nell’ambito della società italiana. E tutto ciò di fronte a un’evoluzione che ha lasciato intendere come in questi ultimi anni la società italiana non potesse considerarsi completamente esente da tendenze globali molto presenti soprattutto nell’area europea di una crescita dell’antisemitismo. Un dato che forse sarebbe azzardato denunciare come negazione irresponsabile o colpevole della realtà, ma che deve comunque essere tenuto d’occhio.