20 Settembre 2017

Pubblicità destinate agli «antisemiti» su Internet

Fonte:

Le Monde

Autore:

Martin Untersinger

Criticati, Facebook, Google e Twitter hanno ritirato le categorie pubblicitarie “razziste”

Il bersagliamento pubblicitario, senza limiti? Fino a poco tempo fa, i marchi che intendevano fare della pubblicità su Facebook potevano mirare tra gli utenti del social network interessati a “uno che odia gli ebrei”, “come bruciare gli ebrei” e “storia sul “perché gli ebrei minano il mondo”, ha rivelato giovedì 14 settembre il sito ProPublica. Per capire, è opportuno soffermarsi su come funziona la pubblicità sul social network. Affinché i marchi possano centrare i loro messaggi pubblicitari, Facebook crea automaticamente delle categorie per classificare gli utenti che considera corrispondenti: interessi, artisti, opere, luoghi… A tal fine, il social network si basa su numerosi criteri: età, professione, luogo di residenza, letture preferite, pubblicità sulle quali gli utenti hanno cliccato, applicazioni installate sul telefono… Gli inserzionisti possono quindi fare in modo che i loro annunci siano visibili da questi utenti di Internet: un venditore di biciclette della Creuse ha infatti tutto l’interesse che i suoi annunci pubblicitari vengano mostrati agli appassionati di ciclismo del dipartimento. Un algoritmo di Facebook ha quindi creato automaticamente gruppi di interesse anti-semiti, che, secondo ProPublica, raccoglierebbero 2.300 persone. La posta in gioco, secondo Facebook: alcuni utenti presenterebbero nei campi “istruzione” e “azienda” del loro profilo, risposte antisemite, recuperate automaticamente da Facebook. Ispirati da ProPublica, dei giornalisti del sito Slate hanno trovato 18 gruppi di pubblicità problematici, razzisti o antisemiti. Facebook da allora ha cancellato queste categorie e ha annunciato che non avrebbe tenuto conto degli elementi mostrati dagli utenti nel proprio profilo per creare gruppi pubblicitari.

Parole chiave suggerite

Facebook non è il solo ad essere stato individuato. Google, che è anche la prima piattaforma pubblicitaria al mondo ha permesso così ai suoi clienti di individuare gli utenti con delle parole chiave razziste e antisemite. La pubblicità sul motore di ricerca funziona in modo diverso: gli inserzionisti devono pagare affinché i loro annunci vengano visualizzati in determinati risultati di ricerca. Google suggerisce automaticamente anche parole chiave che possono interessare i propri clienti. Tuttavia, secondo il sito web d’informazione BuzzFeed, Google ha suggerito che questi ultimi individuano gli utenti Internet inserendo nel motore di ricerca i termini: “I Neri rovinano i quartieri”, “il male ebraico” o “il controllo ebraico sulle banche”. Il gruppo, avvertito dal sito web d’informazione, ha tolto questi suggerimenti. Stesse degenerazioni per Twitter. Il sito The Daily Beast ha scoperto che era possibile utilizzare offese razziste come “negro”, “wetback” (insulto contro i messicani) o il termine “nazista” per targetizzare gli annunci. Twitter suggeriva di mostrare della pubblicità agli utenti che avessero utilizzato tali termini nel loro Tweet, dopo averli ricercati sulla piattaforma o avendo interagito con Tweets che li contenessero. Twitter, citando un “bug”, ha dichiarato che queste parole chiave teoricamente erano vietate dalle scelte pubblicitarie …