7 Marzo 2025

Pubblicata l’ottava edizione della Mappa dell’Intolleranza

Pubblicata l’ottava edizione della Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con Università Statale di Milano (dipartimento di Diritto pubblico Italiano e sovranazionale), l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza – Università di Roma. Una versione più approfondita, cui quest’anno hanno preso parte nuovi partner e nuovi team di ricerca, primo tra tutti il dipartimento di Informatica “Giovanni Degli Antoni”  e del centro di ricerca Human Hall dell’Università Statale.

 Al suo ottavo anno di rilevazione, la mappatura consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole considerate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa – secondo 6 categorie: misoginia, antisemitismo, islamofobia, xenofobia, abilismo, omotransfobia – cercando di rilevare il sentimento che anima le communities online, ritenute significative per la garanzia di anonimato che spesso offrono e per l’interattività che garantiscono.  I promotori ringraziano anche The Fool, “senza la cui collaborazione nell’estrazione dei dati, la Mappa dell’Intolleranza, viste le policy restrittive volute da X, non avrebbe visto la luce”.

Diverse, le linee di ricerca che quest’anno si sono volute approfondire, anche con l’aiuto dei LLM (Large Language Models): una su tutte, l’analisi dell’incidenza di stereotipi negativi sulla formazione e sulla diffusione di hate speech. Analisi essenziale, per cercare di interpretare non solo il fenomeno dello hate speech online, sempre più invasivo e preoccupante, ma anche gli assetti culturali profondi che presiedono al discorso d’odio stesso.

Se infatti, come ormai la letteratura ha evidenziato e la ha ricerca confermato negli anni, il discorso d’odio è sempre più spesso governato da account falsi in grado di scatenare le cosiddette shitstorm, ciò che importa studiare e rilevare è soprattutto il potenziale di viralizzazione dei discorsi discriminatori, attraverso il noto fenomeno delle echo chambers, e che, come la Piramide dell’Odio ci ha insegnato, si basa proprio sugli stereotipi.

 Nel 2024 la rilevazione ha riguardato il periodo gennaio-novembre. Un periodo di forti turbolenze, segnate dalla guerra in Ucraina e a Gaza, dalle elezioni americane, dal prepotente insorgere di fenomeni populisti nel mondo: un periodo dunque di incertezze e fragilità, che si sono riverberate – spiegano ricercatrici e ricercatori di Vox – nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti. Oggi l’odio online è attore fondamentale nella rappresentazione della polarizzazione e i social si configurano come la cinghia di trasmissione tra i mass media tradizionali, la politica e alcune sacche di forte malcontento, che trovano sfogo ed espressione proprio nelle praterie dei social. 

Da qualche anno stiamo assistendo a una verticalizzazione del fenomeno di odio online, per il quale la diffusività iniziale ha lasciato il posto a un modello di dinamiche sociali sempre più incisive e polarizzate. A un allargamento delle possibilità di scelta delle piattaforme social, corrisponde una selettività maggiore di messaggi di esclusione, intolleranza e discriminazione.

 La Mappa di quest’anno presenta più analisi e approcci di ricerca, consentendo quindi di ottenere una visione più ampia del fenomeno che, crediamo, sia necessaria al fine di ottenere una vera radiografia in grado di fornire non solo spunti per ulteriori ricerche, ma anche materiale per ripensare e riorientare i processi di prevenzione del discorso d’odio. La prima radiografia, messa a punto dal team dell’Università di Bari, evidenzia il fenomeno nella sua generalità.

Avanza l’odio contro le donne: sul totale delle persone colpite da hate speech, le donne sono la metà. Irrompe, purtroppo atteso, l’odio antisemita, che passa dal 6,59% di due anni fa al 27% attuale. E avanzano anche xenofobia e islamofobia, a ricordarci che la società in cui viviamo è attraversata da forti pulsioni di rigetto del cosiddetto “straniero”, portatore di storia, cultura, usanze diverse dalle nostre e considerate perciò minacciose. Una delle connotazioni dell’odio online rilevate dalla Mappa n.8 è in effetti una forte concentrazione sul rigetto dello straniero percepito come diverso a tutti gli effetti. Un elemento che, come vedremo  – spiega la ricerca -, viene evidenziato anche dall’analisi della intersezionalità, dove per le donne l’intersezionalità maggiore si rileva sulla linea donna straniera. È un passaggio evidente, che riflette il disagio sociale diffuso e che cambia il percepito delle persone (nella rilevazione del 2022 il focus dell’odio riguardava i diritti della persona, con una dominanza di odio misogino, omotransfobico, concentrato sull’abilismo). A tal proposito, emerge sempre di più la necessità di educare all’uso dei social network e di ripensare le relazioni fra mass media, piattaforme social e utenti, al fine di prevenire forme sempre più radicali di odio, che possono superare i confini della dimensione online e tradursi in atti concreti come i femminicidi o i sempre più frequenti attacchi di bullismo. Il secondo livello di rilevazione, messo a punto dal team della Statale, riguarda lo studio sui dati geolocalizzati, grazie al contributo dei LLM, che hanno consentito una campionatura efficace dei dati stessi.

Per quanto riguarda la distribuzione dell’odio nelle diverse regioni e città italiane, non ci sono differenze di rilievo rispetto agli anni passati: le città più coinvolte risultano le grandi città (elemento dovuto, come già evidenziato nel corso degli anni, anche alla maggiore diffusione della piattaforma X nei grandi centri). Qui in ogni caso Milano appare come la città più misogina e xenofoba, mentre Roma svetta in quanto ad antisemitismo e omotransfobia. Un’analisi interessante riguarda il genere degli “odiatori”, dove si evidenzia come nella categoria misoginia, ben il 20, 81% dello hate speech sia prodotto dalle donne stesse (contro il 30,15% degli uomini), fenomeno che parrebbe prefigurare una sorta di “auto- oggettivazione”, di scelta cioè di un bersaglio esterno (un’altra donna), a fronte della difficoltà a percepirsi in quanto vittima o a viversi come poco autonoma.

Infine, il terzo livello di analisi, sempre messo a punto dal team della Statale attraverso i LLM, riguarda l’incidenza dello stereotipo negativo sulla formazione e diffusione dello hate speech. Si tratta di una prospettiva di ricerca inedita per la Mappa dell’Intolleranza, che porta a riflessioni importanti circa la presenza di assetti culturali profondi, che condizionano inevitabilmente formazione e diffusione di hate speech.