Fonte:
ODG
Autore:
Carlo Bartoli
Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Bartoli, è stato in audizione al Senato presso la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza presieduta dalla senatrice Liliana Segre. L’audizione si è svolta nell’ambito della Indagine conoscitiva sui fenomeni di discorsi d’odio, discriminazione e disinformazione, connessi ai gravi avvenimenti in Medio Oriente.
Il presidente, dopo aver tracciato un primo quadro sulla diffusione dell’hate speech, si è soffermato sui punti della deontologia che vincolano i giornalisti a contrastare ogni forma di discriminazione. Bartoli ha poi illustrato le molteplici iniziative sull’antisemitismo portate avanti dal Consiglio nazionale, dal progetto del libro “Antisemitismo di carta”, che uscirà a breve, alle iniziative specifiche sul rischio di antisemitismo nel media, come il convegno al Museo della Shoah del giugno 2023.
Bartoli ha poi richiamato i documenti approvati alla unanimità nel corso del Consiglio nazionale dell’8 novembre sia per l’impegno dei giornalisti contro ogni discriminazione, linguaggio d’odio e fake news che quello con cui si chiedono garanzie per la libertà di stampa in zone di conflitto come la striscia di Gaza.
Infine il presidente dell’Ordine ha svolto alcune riflessioni sulla mancanza di regole per il web e i social media mentre i giornalisti e tutta la filiera editoriale sono invece sottoposti a vincoli e norme ben precise.
In seguito l’intervento completo di Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti
COMMISSIONE STRAORDINARIA PER IL CONTRASTO DEI FENOMENI DI INTOLLERANZA, RAZZISMO, ANTISEMITISMO E ISTIGAZIONE ALL’ODIO E ALLA VIOLENZA
Indagine conoscitiva sui fenomeni di discorsi d’odio, discriminazione e disinformazione, connessi ai gravi avvenimenti in Medio Oriente
Senato, 20 febbraio 2024
La situazione che si è verificata in Israele e Palestina a partire dal 7 ottobre scorso ha reso, se possibile, ancora più complesso e delicato il ruolo del giornalismo in un contesto nel quale nel dibattito pubblico ha visto il riesplodere di pulsioni aggressive nei confronti di religioni, comunità e popoli, con gravi rigurgiti antisemiti. Le regole deontologiche del giornalismo italiano sono state duramente messe alla prova in un momento nel quale hate speech, discriminazioni, atteggiamenti denigratori e mistificatori hanno trovato nuova forza, in particolare nei social, dove molti influencer e utenti si sono inoltrati in una deriva pericolosa. Molti di loro sono inconsapevole benzina per gli algoritmi che hanno interesse ad enfatizzare lo scontro e l’insulto; altri sfruttano il web a fini mercenari e si fanno scudo con l’anonimato per assaporare l’ebrezza della prepotenza, della prevaricazione, della volontà di dominio – sia pur solo verbale – del bullo. L’intensificazione dei discorsi d’odio ha allarmato sia le comunità ebraiche italiane che tutti coloro che, lungi dall’esprimere posizioni antisemite, intendono criticare le decisioni assunte dal governo israeliano. Questo deve essere un monito e un campanello di allarme che consenta di valutare quanto il linguaggio dell’odio stia tracimando dalle semplici parole e possa in qualsiasi momento trasformarsi in azioni violente.
Sono d’obbligo, quindi, alcune riflessioni a partire dal nostro ruolo, come giornalisti. Coinvolgimenti o segnalazioni su comportamenti non appropriati da parte di iscritti all’Albo sono, fortunatamente, pochissime. L’Ordine dei giornalisti, come prevede la legge, vigila sul corretto adempimento dei doveri da parte degli iscritti all’Albo.
La nostra carta deontologica è chiara:
tra l’altro, il giornalista
– è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali.
– applica i principi deontologici nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network.
Di fatto il giornalista è anche un “opinion maker”, ma resta sempre giornalista; è vincolato alla deontologia e all’etica professionale anche quando si esprime a titolo individuale sui social o in qualsiasi altra piattaforma o strumento di comunicazione. La violazione del codice deontologico da parte dei giornalisti è sanzionata con provvedimenti disciplinari.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti è sempre stato impegnato in una costante attività di formazione e sensibilizzazione verso gli iscritti all’Albo sulla necessità di tenere alta la guardia contro ogni forma di discriminazione e contro ogni fiammata di antisemitismo, in qualunque forma possa manifestarsi e di qualsiasi derivazione ideologica o politica.
Il 20 giugno 2023 ho partecipato, come presidente nazionale dell’Ordine al seminario di formazione per giornalisti “Lotta all’antisemitismo nei media italiani” svoltosi a Roma, presso il Museo della Shoah. L’iniziativa è stata promossa dall’Ambasciata di Israele, Ordine dei giornalisti del Lazio, Fondazione Murialdi, Fondazione Museo Shoah, Centro Documentazione Ebraica Contemporanea e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L’appuntamento si è svolto in occasione degli 85 anni delle leggi razziali in Italia ed è stata l’occasione di un ricco dibattito, per la presentazione della ricerca “Antisemitismo di carta, giornalisti ebrei italiani espulsi dai giornali dopo le leggio razziali” curata da Enrico Serventi Longhi e promosso dal Consiglio nazionale. Una ricerca dedicata ai tanti giornalisti italiani non solo cancellati dall’albo ma discriminati, privati del lavoro, perseguitati, deportati e uccisi nei campi di concentramento. Un volume che ci impegniamo a diffondere e far conoscere non tanto perché parla della nostra categoria, ma perché porta un tassello di tragiche storie e testimonianze della brutale persecuzione vissuta dagli ebrei italiani durante la dittatura nazifascista.
Durante gli anni del Covid abbiamo assistito all’accostamento dei simboli dell’Olocausto e dei campi di concentramento alle politiche di contenimento della pandemia. Una pericolosa e inaccettabile banalizzazione della Shoah, frutto di fake news, ignoranza e abile manipolazione da parte di frange estremiste.
I giornalisti sono in prima linea nel raccontare i fatti del mondo ed è nostra responsabilità contrastare ogni forma di antisemitismo e discriminazione, di qualunque natura. Le parole non possono essere proiettili da scagliare addosso agli altri ma mattoni per la costruzione di comunità in grado di vivere e convivere nel rispetto di tutti; su questo il nostro impegno non manca e non mancherà.
Nella stessa occasione ho firmato il documento sulla “Definizione di antisemitismo dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto”. Una carta che, chiaramente, sancisce l’impegno contro tutte le forme di antisemitismo stabilendo al contempo una linea di demarcazione, oggi quanto mai importante, tra le forme di antisemitismo e la legittima libertà di critica alle scelte che vengono adottate dal governo in carica in Israele, qualunque esso sia.
Venendo ai nostri giorni, abbiamo incontrato nelle settimane successive al brutale attacco terroristico di Hamas, i rappresentanti della comunità ebraica e di quella palestinese in Italia. Così come non abbiamo avuto remore nell’ascoltare le preoccupazioni di autorevoli ONG come Amnesty International in merito al rispetto dei diritti umani nelle aree di conflitto.
L’8 novembre 2023 il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha votato all’unanimità un documento in cui si chiede ai colleghi una narrazione rispettosa dei diritti umani e della deontologia.
Nel documento si legge: “Gli episodi di intolleranza e di odio, collegabili al conflitto tra Israele e Hamas, trovano alimento anche nello spazio dato a notizie false o incontrollabili, stereotipi spacciati per verità, posizioni estremiste che danno linfa a nuovi casi di antisemitismo, di anti islamismo e ad altre forme di razzismo. Dagli incontri che il CNOG ha avuto in questi giorni con le comunità interessate e le associazioni del Terzo settore arriva la richiesta di una narrazione rispettosa dei diritti umani che valga per tutti e dell’adozione di un linguaggio giusto ed equilibrato. Il CNOG sollecita le colleghe e i colleghi ad evitare tutte le faziosità, a contrastare le fake-news e i linguaggi d’odio, nel rispetto delle regole deontologiche.”
Nella stessa seduta il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha rivolto – sempre alla unanimità – un appello per la sicurezza e l’agibilità dei giornalisti nelle aree del conflitto:
“Con ogni giornalista ucciso si spegne una vita e la possibilità di conoscere e rappresentare i fatti. – scandisce il documento – Nel nuovo conflitto fra Israele e Hamas tra le vittime ci sono anche decine di giornalisti. Il CNOG aggiunge alla vicinanza alle famiglie colpite, la condanna per chiunque, deliberatamente o meno, vuole impedire il diritto di informare. È proprio in momenti come questi che è ancora più necessario scongiurare il blackout informativo, garantire l’accesso libero e sicuro dei reporter, individuare le forme più corrette di confronto di idee.
Il CNOG ribadisce che sono proprio le testimonianze, i dati, le competenze il primo baluardo contro la disinformazione e le fake-news, fenomeni questi che stanno pericolosamente alimentando nuovi casi di antisemitismo, anti-islamismo e tutte le altre forme di razzismo”.
L’8 febbraio siamo tornati a esprimerci su questi temi nel corso del convegno tenutosi nella sala capitolare del Senato organizzato dal Centro studi sulla libertà di religione, credo e coscienza (Lirec).
Mi preme tuttavia ritornare sulla diffusione dei linguaggi dell’odio nel web, in cui tutti siamo ormai immersi e di cui ho già accennato in apertura.
L’accesso istantaneo alla tribuna dei social condiziona sempre più la nostra vita; gli algoritmi, per loro natura opachi, selezionano e premiano quei contenuti che sollecitano reazioni emotive forti e penalizzano, invece, quelli che stimolano un dibattito responsabile e approfondito, non urlato. Questo perché la logica delle grandi piattaforme risponde all’obiettivo del mero perseguimento del profitto: più click uguale più soldi.
La moltiplicazione dell’hate speech è, in parte, un risultato perseguito dalle grandi piattaforme e in parte un effetto collaterale. Del resto è ben noto, oltre che esperienza quotidiana, che social e motori di ricerca determinano la creazione di vere e proprie “bolle” al cui interno ci si alimenta solo di ciò che l’algoritmo propone, in base ad una profilazione sempre più invasiva e accurata che esplora non solo le nostre abitudini, ma i nostri nervi scoperti, le nostre pulsioni. Bolle che rappresentano il brodo di coltura di comportamenti aggressivi e linguaggi di odio.
La garanzia dell’anonimato nel web non aiuta certo il contrasto del linguaggio d’odio. Teniamo presente che l’anonimato viene spesso considerato come una sorta di “attenuante” in fase di giudizio nelle cause per diffamazione. Riteniamo, al pari di alcune autorità indipendenti come il Garante della privacy, che l’anonimato in rete non sia più difendibile.
Il contrasto alla diffusione dell’odio in rete non può avvenire soltanto attraverso convegni o campagne promozionali, ma anche incentivando la creazione nel web di isole di “free-hate” speech, con specifiche linee guida, che siano particolarmente connotate anche perché collegate a testate o professionisti la cui rilevanza sia riconosciuta.
Più in generale, il ruolo delle piattaforme – a mio avviso gravemente carente nel campo della moderazione –è stato oggetto anche delle mie osservazioni svolte per conto del Centre for media pluralism and freedom presso l’European University Institute. Anche quest’anno mi è stato infatti chiesto di partecipare, insieme a altri sei esperti, alla redazione del Media Pluralism Monitor per conto dell’Unione europea.
In conclusione, difendere il giornalismo, tutelarne l’autonomia e favorire la qualità dell’informazione professionale non sono obiettivi di corporazione, ma una modalità per contribuire ad avere una democrazia solida e aperta, che rifiuti e contrasti ogni forma di discriminazione.
Fonte dell’immagine: ODG