Fonte:
La Stampa
Autore:
Francesco Grignetti
Foibe e Armeni come la Shoah “Ma così tutto è negazionismo”
A un passo dalla verità, ossia alla vigilia del voto previsto per oggi al Senato sul nuovo reato di negazioni-smo, che prevede una pena da 1 a 5 anni per chi «nega l’esistenza di crimini di guerra o di genocidio o contro l’umanità», si alzano i toni tra i favorevoli e i contrari. Lo storico-senatore del Pd Miguel Gotor due giorni fa ha inviato una lettera a tutti i senatori per metterli in guardia dal rischio di un passo falso. «E una proposta di legge che giudico inutile e controproducente». Gli hanno risposto in sessanta, d’accordo con lui.
Anche un’altra brillante storica-senatrice del Pd, Emma Fattorini, ha mandato una lettera aperta ai colleghi: «Farne un reato ha significato in Francia, enfatizzarne l’importanza, farlo uscire dall’isolamento e dall’insignificanza».
Il dibattito attraversa innanzitutto il gruppo del Pd, però, perché sono dem anche quelli che più sostengono la necessità di un nuovo reato. Così almeno la pensano Silvana Amati, Daniela Valentini, e Monica Cirinnà. Ma anche Lucio Malan, Pdl. E con loro ci sono senatori di tutti i gruppi.
Il tema divide, anche se è universale e scontata la riprovazione per i negazionisti. Il senatore Carlo Giovanardi, Ncd, è il più perplesso di tutti: «Nel testo non si parla affatto di Shoah. Al contrario, si parla genericamente di crimini di guerra così come sanciti dal tribunale internazionale dell’Aia. Ma pochi sanno che lì sono pendenti oltre 8000 processi. Vogliamo vietare di discutere, in futuro, di Balcani, di Africa, o di Medio Oriente?».
Giovanardi sostiene che il nuovo reato potrebbe avere effetti paradossali. «Qualcuno non ha ben capito che Israele ha tutto da perderci: non appena ci fosse qualche condanna all’Aia per crimini di guerra a Gaza, diventerebbe reato metterla in discussione. Pensiamo solo alle Fosse di Katyn: per cinquant’anni c’è stata una sentenza della magistratura polacca che diceva essere una strage nazista, poi abbiamo scoperto che erano stati i sovietici».
Felice Casson, dopo aver collaborato alla riscrittura del ddl in commissione, che l’ha trasformato sostanzialmente in un’aggravante per chi commette poi reati specifici, ieri sera era alla ricerca di una mediazione. «Da una parte c’è una richiesta sovranazionale da parte dell’Unione europea, che mi pare un po’ esagerata. C’è poi un’attesa dell’opinione pubblica che mi pare comprensibile. Dall’altra, sono contrario ai reati di apologia».
In effetti di nuovo, in occasione della Giornata della Memoria, la Commissione europea è tornata alla carica perché diciannove Paesi, tra cui l’Italia, non avrebbero ancora risposto alle sollecitazioni comunitarie del 2008, quando fu adottata all’unanimità una decisione quadro contro il razzismo e la xenofobia, che ci impegna a considerare reati «la negazione, l’apologia o la grossolana banalizzazione dei reati rivolti contro un gruppo razziale, etnico o religioso». La commissaria «Tra le nazioni europee in pace – diceva la vicepresidente della Commissione, Viviane Reding – rimane una sfida: continuare sul sentiero della ricerca della tolleranza nelle nostre società. Nessuno dovrebbe mai subire i discorsi o i crimini legati all’odio razziale».
Come se ne esce? Risposta di Casson: «Prevedendo il dolo specifico: a quel punto sarebbe reato solo se si nega un genocidio in luogo pubblico e a scopo di proselitismo. La libera ricerca storica, che è un bene costituzionale, sarebbe salva».