Fonte:
Pagine Ebraiche
La nuova fotografia dell’osservatorio della Fondazione CDEC, che rileva un aumento degli episodi
In una società fragile, segnata dagli effetti della pandemia, del conflitto, dell’inflazione, crescono senso di insicurezza, frustrazione e rabbia. Aumenta la tendenza a cercare un capro espiatorio e, di conseguenza, aumentano gli episodi di antisemitismo. Un processo inquadrato in modo chiaro dall’ultima Relazione dell’Osservatorio antisemitismo della Fondazione CDEC. Curata dalla sociologa Betti Guetta, responsabile dell’Osservatorio, assieme ai ricercatori Stefano Gatti e Murilo Cambruzzi, la relazione fotografa una tendenza preoccupante: nel 2022, rispetto all’anno precedente, c’è stato un aumento –lieve, ma comunque un aumento– di atti e discorsi contro gli ebrei.
In particolare l’Osservatorio ha individuato 241 episodi di antisemitismo, dato in leggera crescita rispetto ai 226 episodi rilevati nel 2021. Di questi, 164 episodi concernono l’antisemitismo in rete, 77 riguardano episodi accaduti materialmente, di cui due aggressioni, 10 casi di minacce e un grave atto di vandalismo ai danni della sinagoga di Trieste.
“La principale matrice ideologica che alimenta l’odio contro gli ebrei – si mette in luce nel report– continua ad essere quella cospiratoria basata sui vecchi miti di un presunto potere ebraico, che vengono modernizzati e adattati alla realtà contingente come la pandemia da coronavirus, la guerra contro l’Ucraina o la crisi energetica”. In questo uno degli elementi della grande pericolosità dell’antisemitismo: la sua capacità di essere sempre contemporaneo. Un fenomeno che si insinua ancor più facilmente in una società come quella italiana, che appare sempre più confusa e incapace di comprendere le trasformazioni del presente. E dunque più incline a ricadere nella dinamica del capro espiatorio. La relazione dell’Osservatorio lo indica chiaramente, riproponendo alcuni dati di indagini demoscopiche che raccontano come oggi il 57,7 per cento degli italiani la menti di avere un’idea molto o abbastanza confusa di quello che sta succedendo. Il 56,5 per cento (73 tra chi è in possesso di un titolo di studio medio-basso) è inoltre convinto che esista una casta mondiale di superpotenti che sovrintende tutto. Il passo successivo è indicare come colpevole il mondo ebraico, contro cui resiste radicato il velenoso pregiudizio che lo rappresenta come una minoranza che controlla il mondo. “Nei momenti di crisi e di ricerca di colpevoli l’antisemitismo si risveglia e si riaggancia agli antichi stereotipi sul denaro, il potere, l’abilità commerciale. – spiegano i ricercatori del CDEC – L’abbassamento della soglia dei tabù e la radicalizzazione verbale sempre più diffusa sui social media aumentano la diffusione dell’intolleranza e dell’antisemitismo”.
“Siamo di fronte alla questione del canarino nella miniera – sottolinea a Pagine Ebraiche il direttore della Fondazione Cdec Gadi Luzzatto Voghera – Gli ebrei sono sempre stati la cartina di tornasole delle fragilità delle società. Se cresce l’antisemitismo significa che c’è qualcosa che non funziona nella società.
Nell’indagine abbiamo proprio voluto mettere in relazione diretta la crisi, l’instabilità, la crescita di insicurezza e della paura con la crescita di antisemitismo. È proprio automatico. Non bisogna essere degli scienziati sociali per comprenderlo, ma serve dirlo con chiarezza. Se diamo risposte alla crisi rispondiamo anche a molti problemi legati all’antisemitismo”. Non a tutti, ma c’è comunque una forte correlazione. Nella relazione c’è poi un focus sui giovani e pregiudizio. Un tema tornato alla ribalta di recente sui media attraverso l’episodio raccontato dal presidente della Comunità ebraica di Torino, Dario Disegni, di un bambino ebreo insultato da alcuni coetanei con la frase “un tempo ti avremmo bruciato”. Vicenda richiamata dallo stesso Disegni in un ampio approfondimento del programma “Che giorno è” di RadioRai 1,dedicato proprio all’antisemitismo e con ospiti Luzzatto Voghera e Milena Santerini, docente di Pedagogia alla Cattolica di Milano. Un’occasione per ribadire, come ha fatto Disegni, come sia necessario educare le nuove generazioni a riconoscere il veleno del pregiudizio e a discernere, in particolare sul web, le notizie false. “Serve un’adeguata preparazione perché non cadano nelle distorsioni della realtà di chi propugna gli ebrei come colpevoli di tutti i mali”, il richiamo di Disegni.
“Naturalmente è con i giovani che bisogna lavorare. – rileva Luzzatto Voghera – Ricevono informazioni da uno svariato ventaglio di fonti, molto spesso poco attendibili, che sono sempre meno in grado di valutare. E purtroppo, tra queste fonti, molte adottano retoriche cospirazioniste, complottiste e di conseguenza antisemite. Arrivano alle orecchie dei ragazzi, a prescindere dai percorsi strutturati educativi, e si sedimentano”. Non basta il Giorno della Memoria, aggiunge lo storico. Un’evidenza arriva da un lavoro fatto dallo stesso Osservatorio con due licei di Roma. Dalle risposte a un questionario emerge come il 90 per cento degli studenti interpellati ritenga che ricordare la Shoah sia importante.
Dall’altra parte il 27,7 per cento di quegli stessi studenti condivide in parte o pienamente l’idea che gli ebrei siano detentori di grandi patrimoni (il 44 dichiara di non sapere). Il 24 considera che sia vero che “gli ebrei hanno molto potere e influenza nel mondo della finanza e della politica mondiale” (il 45 dice di non sapere). Dati, prosegue il direttore della Fondazione Cdec, a cui bisogna guardare con un’analisi più ampia.
Rappresentano bene infatti “un pregiudizio radicato e diffuso nelle famiglie italiane, di matrice religiosa, alimentato durante il fascismo da un processo che educava all’antisemitismo e al razzismo”. Un processo che trascina i suoi effetti anche sul presente. “Nelle famiglie circolano ancora delle retoriche sull’ebreo che ha in mano il potere, l’ebreo e il denaro… E così si radicano nella mente dei ragazzi, diventando parte integrante di sviluppi che poi sfuggono anche al controllo delle stesse famiglie”.
Il caso citato di Torino può rappresentare un esempio. Per contrastare tutto questo serve un lavoro a scuola, anche sugli insegnanti, “spesso figli degli stessipregiudizi”. “Basta non farsi illusioni. – sottolinea Luzzatto Voghera – Non è che lavorando poi si sconfigge l’antisemitismo. L’antisemitismo è un elemento strutturale della realtà contemporanea”.
È necessario comprenderlo, per poterlo contrastare in un paese in cui rimane presente in molte narrazioni. “Secondo le indagini demoscopiche in Italia – si legge nel report – esiste una quota di antisemitismo non trascurabile (circa il 10%), ma permane un’area estesa di pregiudizi, ignoranza, atteggiamenti di insofferenza o di rancore verso gli ebrei che accompagna la relazione tra ebrei e non ebrei. Talvolta anche in assenza di ebrei”.
“Le matrici ideologiche che alimentano l’antisemitismo in Italia sono il complottismo, il neonazismo, l’antisionismo, oltre a una diffusa antipatia generica e astratta verso gli ‘ebrei’”, si aggiunge.
Alla luce dei fatti recenti il diretto della Fondazione Cdec si dice in particolare preoccupato per la violenza dell’estremismo di destra. E per l’assenza, nel caso di quanto accaduto a Firenze dove estremisti hanno picchiato uno studente di liceo, di condanne da parte del governo. “È stato un episodio molto visibile e molto grave. Ed è inutile che il governo faccia come gli struzzi e metta la testa sotto la sabbia. In quell’ambiente di Firenze ci sono delle retoriche molto conosciute e note, praticate da moltissimi gruppi che fiancheggiano questo governo e che frequentano strade radicate nel fascismo della Repubblica sociale. Quindi un fascismo strutturalmente antisemita. E si vede benissimo per esempio con un antisionismo proprio fondato sull’antisemitismo classico e molto visibile, che fa a pezzi le dichiarazioni contro l’antisemitismo di questo governo”. Questi estremismi, conclude Luzzatto Voghera, sono molto pericolosi e richiedono un intervento immediato.
A proposito di interventi, nella relazione si fanno delle proposte per quanto riguarda il contrasto all’antisemitismo. “Deve essere associato a un forte rilancio del rispetto, della conoscenza, crescere insieme alla compassione, all’educazione all’accoglienza e alla responsabilità verso gli altri. Per fronteggiare l’antisemitismo occorre porlo in rapporto ad altre forme ed espressioni di discriminazione e razzismo; favorire la conoscenza della cultura e religione ebraica; promuovere l’educazione ai nuovi media online e l’alfabetizzazione digitale”, spiegano gli autori del rapporto. E ancora, si aggiunge, bisogna lavorare “nel mondo dello sport, in particolare nel calcio; contrastare la propaganda d’odio e l’antisemitismo attraverso strumenti di contro-narrazione; rinforzare la legislazione in materia di contrasto all’antisemitismo e alle altre forme di discriminazione e apologia di nazi-fascismo”.
Gli italiani e le fake news, un problema grave
Nel 2022, racconta la Fondazione CDEC nel suo report, sono state effettuate indagini sulle diete mediatiche per comprendere come i cittadini, in una situazione di sempre maggiore complessità, si informano e si orientano. E quindi come si formano le opinioni. I risultati, viene riferito, “evidenziano importanti problemi di comprensione e di credibilità dei media”.
Secondo il Censis il 97,3% degli italiani, nell’ultimo anno, ha cercato notizie su tutte le fonti off e online. La corsa all’informazione riguarda in questo senso “la totalità della popolazione, con effetti che si traducono anche nella costruzione di realtà parallele a quelle ufficiali, capaci di incidere su opinioni e comportamenti di milioni di persone”. È il caso ad esempio delle teorie no-vax, della circolazione di video e immagini false “per avvalorare notizie infondate sulla guerra tra Russia e Ucraina, fino alle notizie che mettono in discussione la veridicità del cambiamento climatico”. L’83,4% degli italiani, si riporta, si è imbattuto almeno in una fake news sulla pandemia e il 66,1% in una notizia falsa sulla guerra.
La diffusione di fake news, prosegue il CDEC, appare assai preoccupante. Anche perché il numero di chi naviga sul web “sta crescendo e include molti minori: il 69,1% dei ragazzi che hanno meno di 14 anni e il 61,7% di quelli che ne hanno meno di 12 navigano su internet”. Oggi, si attesta ancora, “il 57,7% degli italiani lamenta di avere un’idea molto o abbastanza confusa di quello che sta succedendo e delle ripercussioni che ci potrebbero essere nei prossimi mesi”. Un altro dato inquietante: il 56,5% degli italiani (73% tra chi è in possesso di un titolo di studio medio-basso) “è convinto che esista una casta mondiale di superpotenti che controlla tutto”.
Quando l’antisemitismo diventa ‘normale’
L’antisemitismo che si esprime con pregiudizi “può manifestarsi in luoghi pubblici, conversazioni private, nei mezzi di comunicazione, nel mondo dello sport e della cultura”, ricorda il CDEC. Un antisemitismo diffuso che “finisce col sembrare ‘normale’ e annidarsi nella società nella distrazione generale”. Con gli ebrei che, nell’immaginario collettivo, arrivano a rappresentare spesso “il potere e la ricchezza, la coesione”.
Nei momenti di crisi e di ricerca di colpevoli l’antisemitismo così si risveglia “e si riaggancia agli antichi stereotipi sul denaro, il potere, l’abilità commerciale”. Molte ricerche – prosegue il CDEC – evidenziano la forte ripresa generalizzata, transnazionale ed esplicita di temi antisemiti, e la cronaca ne segnala puntualmente gli effetti. Un europeo su due ritiene che l’antisemitismo costituisca un problema; nove ebrei su dieci ritengono che l’antisemitismo sia aumentato nel loro paese. Ma quello che è cambiato “è la enorme diffusione di social media e dei linguaggi veicolati”.
Citato nell’indagine, Sergio Della Pergola ricorda che “le percezioni delle vittime sono le uniche che dovrebbero contare veramente quando si valuta l’entità di una offesa: oggi le comunità ebraiche vivono quasi esclusivamente in Paesi democratici e costituzionali dove i loro diritti umani e civili sono ben tutelati, ma vi è un peggioramento della qualità della vita privata dell’ebreo attraverso la creazione di paura, frustrazione e ansia”.