Fonte:
La Repubblica edizione di Milano
Autore:
Davide Romano
«Del buon uso della memoria: la Shoah e chi la nega»
Il 27 gennaio la Regione Lombardia ha approvato una contestata legge anti moschee sull’onda delle stragi di Parigi. Resto dell’idea che a preoccuparci non debbano essere tanto le mura di una moschea, quanto chi e cosa viene predicato al suo interno. Se guardassimo però oltre queste battaglie simboliche, noteremmo invece come dal territorio ci arrivano segnali preoccupanti – sebbene meno rumorosi – a partire dalle nostre scuole. Proprio nei giorni intorno al 27 gennaio, Giorno della Memoria, ho incontrato migliaia di studenti per parlare di cosa sia stato il campo di concentramento di Auschwitz. E di quanto sia importante che esso faccia parte del patrimonio culturale europeo, perché nessuna minoranza venga mai più perseguitata.
Ma ho parlato anche con diversi insegnanti di quelle scuole, che mi hanno lanciato un grido di allarme: ci sono sempre più studenti di origine araba che non accettano il Giorno della Memoria. Mi hanno raccontato di una studentessa che si è rifiutata di partecipare. Un altro studente invece è intervenuto, ma affermando che “la Shoah è tutta propaganda”. E così via. Personalmente, devo purtroppo confermare tale allarme. Insieme a una ex deportata, ho recentemente partecipato a un incontro con le scuole.
Mentre l’anziana donna raccontava con dolore la propria esperienza nel campo di Bergen Belsen, un gruppo di ragazzi di origine maghrebina l’ha contestata. A un certo punto hanno tirato fuori perfino una bandiera (segno che la contestazione era preparata), finché il resto dei loro compagni non li ha zittiti. Io tuttora voglio credere che l’ex deportata – visto che eravamo in un teatro molto grande, e i contestatori in fondo – non si sia accorta di tutto quello che stava accadendo. Il solo pensare che possa avere sentito urlare slogan senza senso durante la sua testimonianza, mi atterrisce. Al termine dei nostri interventi, giunto il momento delle domande, uno di quei ragazzi è venuto a chiedere “perché non la smettiamo di ricordare queste cose?”. D’altro canto è anche bello ricordare come al termine dell’incontro, una studentessa mi ha avvicinato per dirmi:” io sono musulmana, e voglio dirvi che sto dalla vostra parte. Quelli sono pazzi”.
Anche in Francia, già quindici anni fa, non era facile parlare di Shoah con studenti di origine araba. Poi cominciò il crescendo di aggressioni agli ebrei per strada, per finire con gli attentati degli ultimi anni. Dobbiamo quindi trovare nuove strade per rivolgerci anche a loro: proponendo magari degli eroi musulmani positivi. Mentre i media li tempestano di modelli negativi, forse la scuola potrebbe aiutarli a scoprire il lato bello e tollerante dell’islam. Illuminanti ad esempio, i comportamenti dell’Albania o del Marocco negli anni ‘40. In entrambi i paesi – a stragrande maggioranza islamica – non un ebreo fu deportato.
Così come sarebbero da ricordare i settanta Giusti musulmani che salvarono ebrei a rischio della propria vita. Chi davvero teme il futuro estremismo islamico dovrebbe forse urlare di meno, e ascoltare di più le parole dei nostri insegnanti. Per aiutarli. Loro, col futuro, ci lavorano ogni giorno.