Fonte:
www.joimag.it
Autore:
Giorgio Berruto
Una storia che guarda al presente, un’analisi attenta di fatti e ricerche e un racconto di vita famigliare. In libreria dal 17 gennaio
Una componente del problema antisemitismo che solitamente sfugge alle statistiche sull’intolleranza contro gli ebrei è la percezione da parte delle vittime del pregiudizio quando questo c’è e anche quando non c’è ma potrebbe esserci. Vale per tutti, ma di più per gli ebrei che lo sanno per antica abitudine: mai si è del tutto al riparo dallo sguardo altrui. Lo sguardo degli altri squadra e inquadra, incasella, fissa, definisce. Determina chi sei, detta l’agenda dell’identità sia a chi alle etichette tiene e ne fa magari un punto d’orgoglio, sia a chi non ci pensa nemmeno. “Anche quando penserai di essere come gli altri, uguale agli altri, insieme agli altri, ricordati che non è quello che pensano gli altri di te” sono le parole del nonno da cui parte la giornalista Nathania Zevi nel libro Il nemico ideale, voluto dalla Rai e in uscita il 17 gennaio 2024. Il timore di essere valutati per l’appartenenza ebraica invece che sulla base di ciò che si fa produce non di rado cortocircuiti. “Ho chiesto spesso meno di quello che mi spettava” avendo chiara in mente l’immagine stereotipa dell’ebreo avaro, gretto, attaccato al denaro, scrive l’autrice. Ipersensibilità? Antenne lunghe? Certo non si tratta di violenza fisica, ma è difficile non considerarlo un prodotto collaterale del pregiudizio antisemita.
La violenza contro gli ebrei in quanto ebrei d’altronde non appartiene soltanto a capitoli di storia ormai chiusi, ma alle pagine di attualità dei giornali. Dal tempo delle crociate esplosioni periodiche più o meno gravi di violenza hanno punteggiato la storia d’Europa, del Mediterraneo e del Medio oriente, i luoghi cioè che hanno visto e vedono la presenza di comunità ebraiche. Sono all’incirca mille anni, un lungo periodo in cui non ci sono stati sempre e soltanto i pogrom, ma in cui anche nei momenti di tranquillità la paura del pogrom ha raramente lasciato del tutto la vita degli ebrei, condannandoli nel migliore dei casi all’insicurezza. Pogrom come quelli orchestrati dagli agenti dello zar in Ucraina e Bessarabia all’alba del Novecento, quelli condotti su scala industriale dalla Germania e dai suoi alleati durante la seconda guerra mondiale, gli assalti alle sinagoghe in numerosi paesi musulmani nel 1948 – ma anche prima e dopo – per arrivare all’episodio più recente, il 7 ottobre 2023, che va considerato anche, se non soprattutto, un sanguinoso raid antisemita, il più grande dopo la Shoah.
Il nemico ideale è un libro di facile lettura ma ricco di dati recenti sull’antisemitismo in Italia e in Europa, in cui ogni capitolo fotografa un segmento del pregiudizio antiebraico e delle sue manifestazioni più eclatanti. Antisemitismo mascherato da antisionismo, per il quale i riferimenti recentissimi sono inevitabilmente numerosi; ma anche antisemitismo come banalizzazione della Shoah e negazionismo, diffuso in particolare a destra; antisemitismo tradizionale di matrice teologica e cristiana in genere, premoderno ma pronto a innestare su di sé le accuse antiebraiche prodotte nella modernità; antisemitismo cospirazionista e complottista. E poi gli ambienti ideali di coltura dell’antisemitismo o quelli in cui si manifesta in modo più evidente: la scuola, lo stadio, i media, il web. La fonte più importante per dati e statistiche, che si riferiscono nella maggioranza dei casi a episodi degli ultimi due anni, è l’Osservatorio Antisemitismo del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (Cdec), che svolge un insostituibile lavoro di monitoraggio, raccolta e analisi dei dati. Ad arricchire e orientare in modo significativo il significato del libro, Nathania Zevi restituisce episodi di vita famigliare e racconti dei nonni, alternando alle cifre riflessioni personali attinte alla vita in presa diretta. Il risultato è un libro informativo e personale allo stesso tempo, capace di fotografare l’antisemitismo odierno e spiegare in modo accessibile a tutti perché è un problema, e insieme palesare il punto di vista di chi scrive che partecipa dell’eredità di una storia famigliare con un passato (i nonni) e un futuro (i figli).
Giusto spazio viene dedicato alle politiche di lotta contro l’antisemitismo su cui le istituzioni italiane sono da anni impegnate – ma non da sempre o comunque non da sempre con la medesima attenzione che oggi viene posta. A questo proposito non va dimenticata la conoscenza dell’ebraismo, un tema che da alcuni anni si è affacciato sul discorso delle politiche per arginare e combattere l’antisemitismo. La questione qui non è se conoscere la tradizione e la civiltà ebraica sia o no interessante – anche se naturalmente lo è – ma valutare se questa conoscenza sia utile strumento per fare arretrare il pregiudizio antisemita. È un’idea che merita come minimo di essere messa alla prova con più decisione di quanto sia stato fatto finora, evitando di insistere esclusivamente sullo statuto di vittime degli ebrei in momenti determinati della storia. Che combattere l’ignoranza su chi siano e che cosa facciano gli ebrei aiuti a estirpare almeno parzialmente il pregiudizio è, se non proprio inevitabile, almeno molto probabile. Per esempio, molte persone non hanno la minima idea del numero degli ebrei che vivono in Italia. Non di rado si sente parlare di centinaia di migliaia o addirittura milioni, quando sono invece meno di trentamila. Non serve aggiungere che sopravvalutare le dimensioni della presenza ebraica spesso apre le porte a discorsi cospirazionisti sugli ebrei potenti che tramano dietro le quinte per loschi interessi. Un altro esempio di ignoranza che inclina verso l’antisemitismo è ritenere che gli ebrei costituiscano un blocco unico, per cui si sposano tra loro, sono solidali e si aiutano a vicenda, mantenendo allo stesso tempo le distanze dalla maggioranza non ebraica della società in cui vivono. Sappiamo che i dati smentiscono completamente questa visione, che tuttavia rimane tremendamente radicata.
Poi è arrivato il 7 ottobre e il mondo è cambiato. L’attacco di Hamas in territorio israeliano ha colpito indistintamente tutti gli ebrei che i terroristi sono riusciti a raggiungere. Colpito e ucciso, ma anche fatto a pezzi, violentato, deriso, deumanizzato. Come può essere considerato, se non in primo luogo come un attacco antisemita? Il carattere antisemita dell’azione dei terroristi palestinesi è stato confermato – anche se pochi sembrano averci fatto caso – nel momento del rilascio senza contropartita dei lavoratori tailandesi presi in ostaggio, mentre anziane signore statunitensi oppure una bambina irlandese sono state rilasciate solo in cambio della temporanea sospensione delle operazioni militari israeliane e della liberazione di reclusi palestinesi. La differenza tra i tailandesi e la bambina irlandese è che i primi non sono ebrei, la seconda sì. Per il resto il 7 ottobre Hamas non ha fatto niente di diverso da quello che da decenni predica e prova a fare. Ma lo ha fatto meglio, con un successo che probabilmente molti dei suoi stessi capi non si aspettavano. Una piccola Shoah, almeno nella percezione degli ebrei israeliani e di milioni di altri ebrei nel mondo. Un trauma collettivo che pochissimi in Occidente e anche nel nostro paese sono riusciti finora a captare.
Nel frattempo qualsiasi risposta, qualsiasi reazione da parte di Israele veniva ritenuta sproporzionata da una parte consistente dell’opinione pubblica. Gli ingressi delle scuole e delle istituzioni ebraiche in Italia venivano presidiati massicciamente da soldati, carabinieri e altre forze dell’ordine: segno di una attenzione al problema non scontata da parte delle istituzioni italiane – anche in questo caso, non è stato sempre così – ma al tempo stesso ragione di tristezza assoluta al vedere i bambini entrare in classe tra due ali di armati. Il trauma è stato da subito dolore e paura. Poi un po’ alla volta alla paura è subentrata la rabbia verso l’incomprensione, verso un’opinione pubblica per larghi tratti sbilanciata e in alcuni segmenti apertamente ostile agli ebrei sia quando sono vittime sia quando provano a difendersi. Rabbia per i volantini con i volti degli ostaggi strappati e addirittura bruciati per le strade di Torino, Milano e Roma, talvolta insieme a bandiere di Israele e Stati Uniti. Per le pietre d’inciampo annerite, indicazione piuttosto eloquente della natura di ciò di cui stiamo parlando. Con la giornata della Memoria alle porte.