22 Ottobre 2018

Morte del negazionista francese Robert Faurisson

Fonte:

www.corriere.it, Moked.it

Autore:

Stefano Montefiori, Claudio Vercelli

Corriere della Sera

Francia, morto il negazionista Robert Faurisson. La fondazione Shoah: «Sue tesi immonde sopravvivono»

Aveva 89 anni ed è morto a Vichy, in Francia. L’ex accademico venne condannato più volte per aver contestato l’esistenza di crimini contro l’umanità, in particolare l’esistenza delle camere a gas durante la Seconda guerra mondiale

Docente di letteratura ma sedicente storico, più volte condannato dalla giustizia francese, è morto ieri a Vichy il capofila dei negazionisti Robert Faurisson, 89 anni. Dopo essere riuscito verso la fine degli anni Settanta a fare uscire le sue strampalate idee al di fuori del ristretto circolo dell’estrema destra filo-nazista, Faurisson è diventato una triste figura di riferimento presso gli antisemiti, dall’ex leader iraniano Ahmedinajad all’ex comico francese diventato provocatore politico Dieudonné. Gli storici concordano nel giudicare le sue ricerche inconsistenti e antiscientifiche, ma la negazione della Shoah resiste agli argomenti razionali. In questo, Faurisson è stato un precursore della contemporanea passione per le teorie di complotto.

La formazione

Nato il 25 gennaio 1929 in Gran Bretagna da madre scozzese e padre francese, maggiore di sette fratelli, Faurisson è stato un professore di liceo brillante e severo. Poi è passato all’università, prima a Parigi poi a Lione, frequentando gli ambienti dell’estrema destra antisemita e nostalgica del periodo collaborazionista del maresciallo Pétain a Vichy.

La svolta

Faurisson è ossessionato dal quotidiano Le Monde, al quale è abbonato pur non condividendone la collocazione politica e ideologica di sinistra moderata. All’inizio degli anni Sessanta comincia a scrivere al giornale numerose lettere di polemica letteraria, la prima sul significato di un sonetto di Rimbaud, poi all’inizio degli anni Settanta sul Nuovo Romanzo. Nel 1978 arriva la grande occasione di entrare nel dibattito storico, dopo che l’Express ha intervistato in Spagna Louis Darquier de Pellepoix, uno degli organizzatori della retata degli ebrei del Vel d’Hiv, secondo il quale «a Auschwitz sono stati gasati solo i pidocchi», sostenendo che le camere a gas furono usate a scopi di disinfestazione e non di sterminio dei prigionieri. Faurisson intravede la possibilità di intervenire, tempesta Le Monde di lettere e proposte di articoli, trovando in Jean Planchais un caporedattore più preoccupato di garantire la libertà di espressione che di controllare la fondatezza delle tesi espresse. Così, preso per stanchezza, nei giorni tra Natale e Capodanno quando i controlli talvolta si diradano, Planchais finisce per lasciare che vada in pagina il famigerato articolo di Faurisson intitolato «Il problema delle camere a gas o le voci su Auschwitz», nel quale Faurisson sostiene che le camere a gas non sono mai esistite «il che è una buona notizia per l’umanità». Le Monde accompagna l’articolo di Faurisson con gli interventi di due insigni specialisti della Shoah, Olga Wormser-Migot e Georges Wellers, che ne smontano gli argomenti. Ma l’effetto è che le due tesi – esistenza o inesistenza della Shoah – siano messe a confronto come se avessero pari dignità. Uno scivolone che rischia di accreditare a torto Faurisson come uno studioso meritevole di una qualche attenzione.

Rossi e neri

Dagli anni Ottanta in poi il discorso negazionista di Robert Faurisson si propaga in ambienti diversi: dai tradizionali circoli dell’estrema destra nostalgica di fascismo, nazismo e Pétain, alle frange dell’estrema sinistra anti-sionista, nemica di Israele. Faurisson diventa poi popolare nel mondo arabo-musulmano e nel 2012 riceve dall’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad un premio per «il coraggio, la resistenza e la voglia di combattere». Nel 2008 Faurisson era stato accolto sul palco dal comico francese antisemita Diuedonné, che gli aveva attribuito «il premio dell’infrequentabilità e dell’insolenza». Nel marzo 2011 la corte di appello di Parigi ha condannato lo stesso Dieudonné a 10 mila euro di multa per gli «insulti di carattere razzisti» pronunciati nel corso di quello spettacolo.

La reazione di Jean-Marie Le Pen

Fedele alla sua storia politica – è stato più volte condannato per avere definito le camere a gas «un dettaglio della Storia» -, il fondatore del Front National Jean-Marie Le Pen ieri ha detto che «i mezzi considerevoli impiegati nei decenni per ridurre al silenzio Robert Faurisson mi sembrano emblematici del regresso della libertà di espressione e di opinione nel nostro Paese». Ma più che le leggi francesi, a frenare la diffusione delle idee di Faurisson è stata la pochezza delle sue ricerche. Mai storico vero, Faurisson è rimasto fermo allo status di eroe degli antisemiti di tutto il mondo.

Stefano Montefiori

 

Moked.it

La fine di un negazionista

Robert Faurisson, il più famoso negazionista di quest’ultimo quarantennio è morto a Vichy il 21 ottobre, sulla soglia dei novant’anni. Cosa sia il negazionismo è abbondantemente risaputo per doverci tornare sopra. Almeno in queste pagine. Evitando profili biografici del tutto fuori luogo, un richiamo al metodo di negazione adottato da Faurisson può invece tornare utile, per comprendere la costruzione dell’offesa (ai morti e ai vivi), di cui è stato un esponente. Così già alcuni anni fa si scrisse nel volume «Il negazionismo. Storia di una menzogna» (Laterza, Roma- Bari, 2013 e successive edizioni): La vicenda di Faurisson inizia negli anni Sessanta ed arriva ai giorni nostri. Per più di una decina d’anni, tra il 1957 il 1969, è docente di letteratura nei licei francesi; negli anni successivi diventa maître assistant stagiaire e occupa la cattedra di letteratura contemporanea all’Università di Parigi III. Nel 1972 consegue il dottorato e dal 1973 al 1980 lavora come maître des conférénces all’Università di Lione II. Dopo di che, e fino al 1995, anno in cui va in pensione, viene distaccato, su sua stessa richiesta, al Centro nazionale di tele-insegnamento (poi divenuto Centro nazionale d’insegnamento a distanza), senza però svolgere nessuna attività di docenza. Dentro questa cornice, che lo colloca all’interno del mondo scolastico e poi accademico, si dipana la sua storia. Già nella sua attività di studioso della letteratura rivela ben presto una marcata propensione a cercare nei testi gli elementi che, a suo dire, connoterebbero una mistificazione dell’interpretazione corrente. Non a caso la sua attività di critico si rivolge alla «ricerca del senso e del controsenso, del vero e del falso» (Valentina Pisanty), quasi a volere marcare che la ricerca vada fatta non tanto dentro un documento ma dietro di esso, per poterne carpire il segreto che nasconderebbe. Iniziatore di quello che egli stesso, sulla scorta dei suoi studenti, chiama il «metodo Ajax» (dal nome del detersivo, a volere dire che in tal modo si ottiene una assoluta intelligibilità), basato sull’assunzione letterale del testo, decontestualizzato e slegato dallo stesso autore e dalle circostanze che l’hanno prodotto, fondato quindi su un ipercriticismo interpretativo, nella convinzione che solo così si possa pervenire alla effettiva conoscenza del suo reale contenuto, adotta questo opinabile metodo di investigazione letteraria anche alle fonti storiche. Per Rassinier si tratta di pervenire ad una conoscenza oggettiva, intesa come senso unico, inappellabile, fondato sul ricorso ad postulato interpretativo univoco di cui egli stesso si considera depositario. Da ciò gli deriva «una notevole propensione per la lettura sospettosa dei testi, che per lui nascondono sempre un segreto che qualcuno ha interesse a mantenere celato». Infatti, come afferma sempre Valentina Pisanty: «All’interno del sistema di valori che attivato da Faurisson l’interprete-eretico (cioè Faurisson stesso) viene investito della missione di strappare i veli a una realtà tenuta celata per troppo tempi in passato. Implicita in queste pagine è la strisciante accusa che la mistificazione di volta in volta denunciata non sia casuale, ma che sia il frutto di una consapevole falsificazione. I testi di Faurisson sono infarciti di espressioni relative all’inganno, al segreto, alla truffa, alla contraffazione e agli abbagli collettivi». Tra i suoi tanti critici alcuni parlano al riguardo di «delirio interpretativo» e «follia ossessiva», basate su un «pensiero fisso», laddove Rassinier apparterrebbe alla categoria degli «scienziati pazzi» (Jean Stenger). C’è chi invece ha ravvisato nel suo metodo una «nevrosi interpretativa» (Pisanty), che rifiuta il pluralismo delle letture sostituendolo con una sorta di fondamentalismo totalizzante, quello che deriva dalla propria chiave di interpretazione, eletta ad unico criterio autentico e, come tale, in grado di smascherare le mistificazioni di cui tutti gli altri interpreti sarebbero responsabili. Altri, più prosaicamente, lo definiscono come un «provocatore», alla perenne ricerca delle luci della ribalta. Di certo la convinzione di essere il portatore di una idea nuova e, come tale, capace di sbaragliare le interpretazioni precedenti, in grado di emancipare gli uomini dalla sudditanza alle “mitologie”, è il tratto più forte di Faurisson, che non a caso scriverà di sé e delle sue convinzioni che: «il revisionismo è la grande avventura intellettuale della fine del secolo»”.

La sua traiettoria personale si è adesso conclusa, ma non la stessa cosa può essere detta delle sue affermazioni, che continuano ad alimentare l’antisemitismo di ogni risma, soprattutto quello che il diffuso complottismo sta portando, purtroppo, a nuova auge.

Claudio Vercelli