Fonte:
la Repubblica
Autore:
Federica Angeli, Gabriele Isman
La morte senza pentimento di Priebke “L’Olocausto fu una falsificazione”
Aveva 100anni. La comunità ebraica: “Un essere vivente, non un uomo”
ROMA—Non si è mai pentito. Erich Priebke, il capitano delle Ss, boia delle Fosse Ardeatine, è morto ieri attorno a mezzogiorno sul divano della casa di Roma Nord dov’era ai domiciliare. «Né pietà né gioia per la morte di quello che era un essere vivente, non un uomo» dice Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica romana che ieri, mentre Priebke moriva, era in udienza privata dal Papa in Vaticano. Condannato all’ergastolo nel ’98, aveva compiuto 100 anni a luglio. Poche settimane dopo era stato ricoverato in ospedale e da allora anche le sue passeggiate—sempre scortato — si erano diradate. Una settimana fa un giornale tedesco, la Sueddeutsche Zeitung, aveva pubblicato una sua intervista, subito smentita dall’avvocato Paolo Giachini che lo ospitava in casa dal 1998. Dopo l’autobiografia “Vae victis” di 10 anni fa, per il suo centenario il capitano aveva consegnato altri pezzi della sua verità a due interviste: una scritta di sette pagine e un video di circa 90 minuti, da diffondere dopo la sua morte. Nella prima non parla delle Fosse Ardeatine: «Sosteneva che su quello aveva già detto tutto — spiega Giachini con cui il capitano ha parlato fino a ieri mattina — . Aveva trattato il tema nel video, girato poco prima del suo compleanno». Nell’autointervista scritta non mostra nessun rimorso: «Ho scelto di essere me stesso» dice. Sugli ebrei: «In Germania sin dai primi del Novecento il loro comportamento veniva criticato apertamente. Ancora oggi, se prendiamo le mille persone più ricche e potenti del mondo, dobbiamo constatare che una notevole parte di loro sono ebrei». Negava anche le camere a gas: «Che vi fossero aspettiamo ancora le prove. A Norimberga sono state inventate un’infinità di accuse». Eppure nei lager lui c’era stato: «L’ultima volta a Mauthausen nel maggio del 1944 — racconta ancora nell’intervista —a interrogare il figlio di Badoglio, Mario, per ordine di Himmler. Non c’erano camere a gas». E sull’Olocausto «era necessario inventare dei particolari crimini commessi dalla Germania e reclamizzarli tanto da presentare i tedeschi come creature del male e altre sciocchezze: soggetti da romanzo dell’orrore su cui Hollywood ha girato centinaia di film». Contestava anche le immagini dei lager definendoli «un’ulteriore prova della falsificazione. Provengono quasi tutti dal campo di Bergen Belsen, dove le autorità tedesche inviavano da altri campi gli internati inabili al lavoro». A Bergen Belsen morì anche Anna Frank, di tifo. «È stato un martire, testimone di un mondo dove i valori erano diversi da quelli attuali. Per i suoi cento anni qui in casa c’era anche un parente delle vittime delle Fosse» dice il suo avvocato. «Scompare uno degli ultimi noti carnefici delle Ardeatine. La giustizia italiana ha seguito il suo corso rispettandone l’età ma non dimenticando. Non vendicativa, ma con un insegnamento: quando si superano i limiti della civiltà non si può rimanere né indifferenti né quiescenti» gli risponde Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma. Sulle Fosse Ardeatine Priebke ha sempre scelto la linea del “dovevo obbedire”. Kappler aveva deciso che dovessero morire 10 italiani per ognuno dei 33 militari dell’ 11 a compagnia del III battaglione SS Bozen uccisi invia Rasella. Il giorno dopo, 24 marzo 1944, 335 italiani furono trucidati in quelle cave: Priebke era tra coloro che spararono. Intervistato nel 1994 dall’Abc in Argentina dove, come molti altri nazisti, si era nascosto, arrivò in Italia nel 1995 e fu subito rinchiuso nel carcere militare di Forte Boccea. Al processo per le Fosse Ardeatine, in primo grado, fu assolto. Quella notte —1 agosto 1996—ci fu una sollevazione popolare guidata da Pacifici e l’allora ministro della Giustizia Flick intervenne. Col nuovo processo per Priebke arrivò l’ergastolo. «Rispettiamo la persona di fronte alla morte, ma non possiamo dimenticare le vittime. Priebke è stato un criminale, al servizio di una dittatura sanguinaria» commenta Carlo Smuraglia, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. «Dopo aver letto la sua intervista-testamento — conclude Pacifici—siamo ancora più certi che abbiano fatto bene i vari presidenti della Repubblica a respingere le richieste di grazia. Ora è tempo che il Parlamento inizi a lavorare seriamente alla legge contro cybercrime e negazionismo. Sarebbe il modo migliore per onorare il 16 ottobre, settantesimo anniversario del rastrellamento nel ghetto di Roma». L’ultimo mistero di Priebke è sui funerali: «Saranno a Roma, forse tra lunedì e martedì, in chiesa. La tomba? Forse in Argentina, accanto alla moglie» dice Giachini. Mercoledì, è il 16 ottobre: si rischia che le esequie coincidano con l’anniversario del rastrellamento nazista.