Fonte:
Mosaico
Autore:
Nathan Greppi
Il caso “Militalia”: raduno di fascisti o circo Barnum?
Guardando da fuori il tendone che ospita l’evento, uno pensa che sia una semplice fiera di oggetti militari. Ma nel momento in cui entri e ti avventuri tra i vari stand, capisci subito che è molto più di questo; perché Militalia, la più grande fiera militare d’Italia che si tiene due volte all’anno al Parco Esposizioni di Novegro, è anche uno dei maggiori ritrovi di neonazisti nel nostro paese. Siamo stati all’ultima edizione, tenutasi da sabato 3 a domenica 4 novembre, e questo è ciò che abbiamo visto.
Che cos’è Militalia
Ma partiamo dal principio: ufficialmente, Militalia è una fiera nata nel 1969 per i collezionisti di armi, uniformi e altri oggetti appartenuti ai soldati che hanno combattuto soprattutto nelle due guerre mondiali, e che si svolge a Novegro, quartiere periferico di Segrate (MI). Nel corso degli anni, esso è diventato uno degli eventi più importanti della zona, tanto che vi partecipano non solo le più alte cariche dell’esercito italiano, ma anche rappresentanti di eserciti stranieri (ci siamo imbattuti, tra gli altri, in un ufficiale francese della Legione Straniera). L’ultima edizione, poi, era resa ancora più importante dal fatto che il 4 novembre ricorresse il 100° anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale.
Tuttavia, l’evento è stato più volte al centro di scandali poiché tra la “merce” in vendita figuravano divise e medaglie da ufficiali delle SS, che alcuni visitatori indossavano per divertimento. A ciò si aggiunge il fatto che nella scorsa edizione, tenutasi a maggio, il quotidiano La Repubblica rivelò che qualcuno aveva messo in vendita due divise appartenute a ebrei deportati nei campi, ancora sporche di sangue. Ma già nel dicembre 2000 il giornalista Daniele Moro aveva scritto un’inchiesta sull’argomento per il settimanale Diario. Ed è proprio Moro colui che ci ha guidati e orientati in questo luogo ambiguo.
Resoconto dell’ultima fiera
Nel momento in cui mettiamo piede all’interno del tendone, il primo senso ad essere urtato non è la vista, bensì l’olfatto: ciò a causa dell’odore della naftalina usata per conservare le innumerevoli divise vecchie di settant’anni messe in mostra dagli espositori, unita alla puzza di sudore e deodorante maschile a basso prezzo. Prima di addentrarci, guardiamo quale tipo di persone si aggira in quello spazio di 20.000 metri quadri: appartengono a età e sessi diversi, tuttavia la stragrande maggioranza sono uomini dai 40 ai 60 anni; di giovani sui 20 – 30 anni ce ne sono pochi, ma in compenso notiamo un cospicuo numero di bambini e ragazzi accompagnati dai padri perché si divertono a travestirsi da soldati.
Una volta entrati, ci dirigiamo a sinistra, dove si trovano gli stand delle case editrici: il primo in cui ci imbattiamo, gestito da un padre con il figlio adolescente, è dello Spazio Ritter, libreria e punto di riferimento della cultura di estrema destra a Milano. Tra i libri esposti, ci sono sia “classici” come il Mein Kampf, sia testi di recente pubblicazione (inclusi persino dei fumetti), ma che si rivolgono a un pubblico di nicchia. Un discorso simile vale per lo stand delle Edizioni di Ar, casa editrice fondata negli anni ‘60 dal terrorista Franco Freda, uno dei mandanti della Strage di Piazza Fontana, che espone tra gli altri i Protocolli dei Savi di Sion e L’Ebreo internazionale di Henry Ford.
Osservando e ascoltando gli espositori, si capisce quanto siano di casa da queste parti: infatti, abbiamo visto più volte il proprietario della Ritter dialogare amichevolmente con alcuni passanti che vengono qui tutti gli anni; tra questi, abbiamo ascoltato una giovane coppia che in seguito si è recata a salutare i responsabili dello stand delle Edizioni di Ar, che abbiamo sentito dire “qui trovi sempre gli stessi stand, le stesse facce.” Come ci ha spiegato Daniele Moro, “questa fiera è un’occasione per gente che si ritrova da tutta Italia due volte all’anno, si conoscono tutti. Forse vengono tollerati anche perché, quando sono riuniti in un unico punto, per la polizia è più facile tenerli d’occhio.”
Man mano che esploriamo l’ambiente, ci rendiamo conto che a regnare, più che l’estremismo, è la superficialità. Il primo indizio a suggerircelo lo troviamo sempre tra gli stand editoriali: oltre ai neonazisti, ce ne sono alcuni che vendono qualunque saggio parli di guerra, senza distinzioni: ci sono saggi di storici israeliani sulla Guerra dei Sei Giorni, uno sui genocidi perpetrati dagli Ustascia in Croazia, e altri che narrano la storia militare da tutti i punti di vista possibili.
A questo punto ci dirigiamo verso i venditori di oggetti della Seconda guerra mondiale, e qui vengono esposti numerosi oggetti del Terzo Reich riportanti svastiche e altri simboli nazisti: piatti, tazze, bandiere, medaglie; gli stessi, inoltre, vendevano le stelle di Davide ricamate sulle divise degli ebrei deportati (che noi siamo stati tentati di comprare, per impedire che qualcuno ne facesse un pezzo da collezione). A sorprenderci, tuttavia, è il fatto che alcuni degli stand che esponevano questi pezzi vendevano anche medaglie con simboli sovietici, oltre ai busti di Lenin. Analogamente, ne abbiamo visto uno che vendeva senza distinzioni bandiere naziste, sovietiche, britanniche e persino dei Vietcong comunisti.
Falsità e ostentazione
Tra i visitatori, alcuni indossavano autentiche divise delle SS e di altri reparti dell’esercito tedesco; tuttavia, a sorprenderci è stato il fatto che non fossero, come qualcuno potrebbe immaginare, giovani naziskin muscolosi, ma uomini di mezza età sovrappeso o ragazzi di corporatura esile, venuti a ostentare una virilità che in realtà non possiedono.
Usciti dal tendone, proviamo a riflettere su ciò che abbiamo visto: innanzitutto, occorre precisare che è sbagliato fare collegamenti con la situazione politica attuale: innanzitutto perché questa realtà si è consolidata da tempo almeno a livello locale, tanto che, oltre a esistere da quasi 50 anni, la fiera è stata patrocinata dal Comune di Segrate, nonostante sia guidato da una giunta di centro-sinistra. Ma soprattutto perché il pubblico a cui si rivolge è composto perlopiù da quarantenni e cinquantenni nostalgici di un tempo che non hanno mai vissuto, che vivono in un mondo tutto loro.
Ma l’aspetto più importante, secondo Moro, è che oggi queste cose vengono vissute in maniera molto meno violenta rispetto, ad esempio, agli Anni di Piombo: “Se fossimo entrati qui negli anni ‘70 non ne saremmo usciti vivi. All’epoca avevi intere vie di Milano dove comunisti e fascisti si sparavano per strada. A quei tempi sarebbe stato inconcepibile trovare insieme bandiere naziste, americane e sovietiche, oggi c’è una maggiore superficialità però almeno non è un’ambiente davvero pericoloso, ma molto scivoloso.”