Fonte:
La Stampa
Autore:
Bruno Ruffilli
Facebook e Twitter sugli insulti in Rete
“Così bloccheremo i messaggi d’odio”
Ecco il piano dei social: segnalazioni degli utenti, filtri, team dedicati. Basterà?
Roma. Per buona parte della popolazione mondiale, Facebook coincide con internet: ci sono notizie vere e false, foto, video, chat, musica, affari, gattini. E insulti, violenze verbali e discriminazione. «Facebook – osserva però un portavoce – non tollera espressioni di odio, bullismo o altri tipi di molestie sulla piattaforma. Prendiamo molto sul serio la questione della sicurezza delle donne. Lavoriamo in stretta collaborazione con i partner e le istituzioni per creare uno spazio sicuro dove tutti possano comunicare». Analoga la posizione di Twitter: «Le nostre regole proibiscono chiaramente tali forme di molestie. Questi comportamenti non sono accettabili e la società li condanna nella maniera più assoluta», spiega Sinead McSweeney, VP of Public Policy per Europa, Asia e Medio Oriente. «Recentemente abbiamo potenziato le funzionalità del prodotto in modo che tutti i titolari di account Twitter possano controllare meglio la loro esperienza individuale sulla piattaforma, aggiornando mute e blocco e introducendo opzioni di segnalazione di contenuti più efficaci». Al di là delle dichiarazioni di intenti, però, esistono ancora delle differenze tra uno spazio libero dove ci si scambiano idee, si comunica e si lavora, e un’attività commerciale governata da regole e leggi proprie. Così il concetto di libertà e di censura diventa elastico, per adattarsi alle richieste di Paesi come Turchia. Pakistan, Russia. O della Cina, dove l’azienda di Zuckerberg è bannata dal 2009, ma potrebbe tornare a breve: secondo il New York Times a Menlo Park si studia uno strumento che permetterebbe alle autorità della Repubblica Popolare di decidere cosa può apparire nel newsfeed. Più volte la presidente della Camera Laura Boldrini ha incontrato i rappresentanti di Twitter e di Facebook (nel marzo del 2015 e nell’ottobre di quest’anno; un altro meeting ci sarà la settimana prossima). «Ci hanno detto che il loro impegno è di facilitare la cancellazione del messaggio violento. Ma il messaggio violento – rileva Boldrini – anche se lo cancello, circola comunque. Non può essere questo il modo di affrontare un tema così profondo e grave». Per combattere le espressioni di odio, discriminazione razziale o sessuale, bullismo e altre forme di molestie, Facebook e Twitter si affidano infatti alle segnalazioni dei membri della comunità. A elaborare le richieste ci sono poi vari team dedicati, che valutano se cancellare il contenuto considerato offensivo ed eventualmente sospendere l’account dell’autore. Il team italiano di Facebook si trova a Dublino, mentre a Berlino 200 persone supervisionano i post in lingua tedesca. E proprio in Germania il Ceo e altri top manager sono sotto inchiesta, accusati di incitamento all’odio razziale per non aver rimosso dei post segnalati come offensivi. «Facebook non è impossibilitata a soddisfare le richieste, semplicemente non vuole farlo», ha spiegato a La Stampa l’avvocato Chan-jo Jun, autore della denuncia che ha dato il via all’indagine. «Non c’è stata sufficiente pressione politica contro l’azienda». Quella pressione che ha invece costretto Zuckerberg a rinunciare, per ora, alla condivisione di dati tra Whatsapp e Facebook, ottemperando a una richiesta dell’Unione europea. E ha mostrato che le leggi nazionali e comunitarie possono avere efficacia anche nel social network più grande del mondo: così, prima ancora che arrivino le regole invocate dalla Boldrini, chi è oggetto di post calunniosi, sessisti o razzisti su Facebook (e altrove nel web) può già denunciarne gli autori, anche in Italia.