Fonte:
Riflessi Menorah
Autore:
Massimiliano Boni
A Dubrovnik i lavori dell’IHRA si sono incentrati su programmi e strategie contro antisemitismo, distorsione e negazione della Shoah. Ne abbiamo parlato con Simonetta Della Seta, chair del Gruppo di lavoro “Musei e memoriali”
Simonetta, oggi si chiude la plenaria IHRA di Dubrovnik, in cui tu hai presieduto il gruppo di lavoro su Musei e Memoriali. Proviamo a fare una sintesi dei risultati?
Il nostro lavoro quest’anno si è concentrato su tre temi: la preservazione dei siti a rischio, la lotta contro la distorsione della Shoah e l’antisemitismo. Sul primo tema IHRA ha avviato un progetto per individuare, monitorare e ‘soccorrere’ i siti della Shoah a rischio di degradamento, soprattutto ambientale. Un progetto che presto si coniugherà con una iniziativa europea ancora più ampia: quella di mappare tutti i siti nel mondo legati alla Shoah (soprattutto luoghi di rastrellamento, di deportazione e di uccisione, ma anche memoriali e musei).
In quanto ai pericoli di distorsione della narrativa della Shoah, l’IHRA controlla che non ci sia distorsione nella narrativa presentata dai musei, soprattutto in quelli di Paesi con tendenze nazionaliste e populiste; si tratta di una azione fondamentale, specie ora che siamo entrati nell’epoca in cui non ci saranno più testimoni. All’argomento abbiamo dedicato due sessioni: una per apprendere come meglio accedere alla documentazione esistente, soprattutto da parte di direttori di musei, curatori, guide e insegnanti, che devono poter individuare facilmente, tra i milioni di documenti conservati negli archivi, ciò che può servire ai musei, agli allestimenti e alla didattica.
Abbiamo ad esempio ascoltato il direttore di YIVO, uno dei più importanti archivi ebraici del mondo, fondato dagli stessi ebrei durante la guerra. Nella seconda sessione abbiamo invece invitato quattro esperti dalla Polonia – tre del museo POLIN e uno del Museo del ghetto di Varsavia- per apprendere come nelle commemorazioni dell’ottantesimo anniversario della rivolta del ghetto abbiano cercato di preservare la verità contro la distorsione, e soprattutto alcun attacchi agli storici polacchi pervenuti dallo stesso dal governo. Infine, abbiamo evidenziato in una tavola rotonda quali sono le pratiche che i vari musei nel mondo mettono in atto per contrastare gli episodi di antisemitismo e combatterli.
Un dato che è emerso dai lavori nel gruppo che hai presieduto è che dopo l’età dei testimoni occorre mettere in sicurezza i luoghi, ossia i siti della Shoah. A che punto siamo?
La discussione sull’era priva di testimonianze dirette si è aperta in IHRA già da tempo. Ci sono almeno due modi di prepararsi alla scomparsa di tutti i testimoni: il primo è preservare i luoghi, ossia i siti autentici, spesso collocati in luoghi inaccessibili, come boschi e foreste, perché tramandino la memoria del contesto in cui è avvenuta la Shoah. Ad essi, ad esempio, potranno anche essere poli collegate le interviste dei sopravvissuti, o le documentazioni esistenti negli archivi. Per fare ciò serve la mappatura dei luoghi – cominciata tempo fa dal museo di Washington, che ne ha individuati 44.000 – e che ora sarà oggetto di un vasto progetto dell’Unione Europea, con consulenza IHRA.
E l’altro modo?
L’altro è appunto l’accesso ai documenti, ovvero alla verità: dobbiamo rendere più noto e accessibile quanto esiste negli archivi, nelle collezioni, nei diari e altro ancora. Dobbiamo rendere fruibili questi documenti ai non addetti ai lavori: occorre sapere che esistono e guidare chi li cerca alla loro comprensione e alla loro utilizzazione. Anche nei social media.
In questa Plenaria abbiamo assistito a scambi duri tra alcuni paesi, come Croazia e Serbia, Bulgaria e Macedonia, sulla ricostruzione sia di episodi della seconda guerra mondiale che dei numeri.
Sono Paesi che hanno avuto una storia successiva diversa dalla nostra, il comunismo ad esempio, ed altre guerre molto dolorose. Bisogna dare loro tempo, e nel frattempo vigilare che intraprendano la strada giusta.
L’IHRA ha anche un ruolo politico?
Quando è stata fondata, questa Alleanza non aveva obiettivi politici, ma solo quello di mantenere la memoria di quello che è stato: era formata da esperti di vari paesi (soprattutto storici, archivisti, accademici, educatori, direttori di musei) che si confrontavano per dare a loro volta consiglio ai diplomatici e in generale a chi avesse responsabilità decisionali. L’IHRA è stata fondata per imparare la lezione della Shoah, ma non si pensava che potesse risuccedere. Oggi i temi che vengono discussi in IHRA – antisemitismo, distorsione, negazionismo, genocidi – hanno assunto una rilevanza maggiore nella vita di tutti i 35 paesi che ne fanno parte e, come ha detto ieri il Prof Yehuda Bauer, fino ad oggi Presidente onorario della organizzazione: Non siamo più in un mondo in cui è esistita la Shoah, siamo in un mondo in cui potrebbe ancora ripresentarsi. Per questo l’azione dell’IHRA è diventata inevitabilmente più politica.
Come si traduceva, e si traduce ancora oggi, il passaggio dal lavoro nei gruppi e comitati IHRA alle decisioni politiche prese in Plenaria?
In IHRA ci sono due categorie di persone: gli esperti della Shoah e i diplomatici. Gli esperti riferiscono ai diplomatici cosa accade, quali sono le nuove frontiere della ricerca, della documentazione, della ricostruzione, della testimonianza, ma anche quali problemi emergono o potrebbero insorgere. Scrivono a tale scopo dei rapporti per la Plenaria dei capi delegazione, che a loro volta stabiliscono le priorità effettive del raggio di azione, sia per gli esperti che per i governi.
Che futuro ha davanti IHRA?
Alla luce delle trasformazioni già descritte, penso che questa organizzazione sia destinata a diventare sempre più professionale, per agire con più vigore ed efficacia sui governi nel contrasto della distorsione della verità e per un ricordo corretto di quanto accaduto.
Tutto questo comporta la necessità di un modo nuovo di leggere la Shoah?
Sostengo da tempo che la Shoah non è una storia solo di morte. Nella Shoah c’è la vita degli ebrei: c’era vita ebraica prima della Shoah, durante la Shoah e dopo la Shoah. I valori ebraici non sono venuti mai meno, neppure nei momenti più difficili e bui. Chi si è ribellato nel ghetto, chi ha combattuto nella resistenza, chi ha cercato di evadere dai campi, chi ha accompagnato una madre anziana o i propri bambini verso una un’uccisione di massa: sono stati tutti eroi.
Ognuno ha agito all’interno di valori di vita e nel tentativo di preservare la vita stessa. Oggi vanno raccontate le storie, vanno ritrovati i colori. La Shoah è stata una malattia gravissima della cultura europea. Ma non va raccontata come un grande buco nero, soprattutto per quel riguarda le sue vittime, gli ebrei. Altrimenti non capiremo mai. E non saremo mai in grado di superare il suo trauma.
Copyright dell’immagine: Riflessi Menorah