12 Febbraio 2016

Le motivazioni della condanna di 16 neofascisti a un mese di reclusione

Fonte:

Il Giorno edizione di Milano

Autore:

Mario Consani

Il saluto romano? Resta pericoloso» Per il tribunale è sempre un reato

IL PERICOLO esiste sempre. «Le manifestazioni evocative del disciolto partito fascista – come il saluto romano – possiedono ancora idoneità lesiva per la tenuta dell’ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi». Il giudice Paola Pendino, quinta sezione del tribunale, usa le stesse parole della Cassazione per spiegare perché, a novembre, ha condannato sedici militanti di Forza Nuova e di altri gruppi di estrema destra – tra cui il cantante Federico Goglio in arte Skoll – a un mese di reclusione e al pagamento di una multa di 250 euro. Colpevoli di aver violato la legge Scelba del 1952 per aver compiuto «manifestazioni usuali del disciolto partito fascista», come il saluto romano e la chiamata del «presente», durante la commemorazione di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani nell’aprile 2013.

ALCUNI degli imputati erano stati tempo prima prosciolti dalla stessa accusa dal gup Donatella Banci Bonamici, sempre per la analoga commemorazione avvenuta l’anno dopo, nel 2014. Per quel giudice «non c’era alcun pericolo concreto» di ricostituzione del partito fascista nell’occasione, perché il fine della manifestazione non era il «proselitismo politico», ma solo «commemorare tre defunti». Due interpretazioni opposte dello stesso gesto, insomma, anche se quella assolutoria è ora al vaglio della Cassazione dopo il ricorso presentato dal pm Piero Basilone contro i proscioglimenti.

PER IL GIUDICE Pendino, che spiega il motivo delle condanne in otto pagine, «la concretezza del pericolo trova, poi, conferma nel fatto che di anno in anno si è registrato un numero sempre maggiore di partecipanti, dato molto enfatizzato dagli organizzatori e simpatizzanti come agevolmente riscontrabile attraverso la consultazione delle fonti aperte. L’adesione di un numero sempre crescente di militanti è indubitabilmente sintomatica di una diffusione dell’ideologia politica certamente agevolata e favorita anche dal simbolismo divulgato nel corso della manifestazione». Anche sul delicato tema del rapporto tra saluto «condannabile» e libertà di pensiero consacrata dall’articolo 21 della Costituzione, il tribunale si richiama alla sentenza della Suprema Corte di due anni fa.

«VA ESCLUSO, infatti — ribadisce — che la libera manifestazione del pensiero possa andare esente da limitazioni lì dove la condotta tenuta risulti violatrice di altri interessi costituzionalmente protetti» come è, per l’appunto, il divieto di ricostituzione del partito di mussoliniana memoria. Quanto alla tesi difensiva che rilanciava il parallelismo tra saluto romano e pugno chiuso alzato in funerali comunisti, il giudice osserva: «Se pur in astratto potrebbero non ravvisarsi differenze tra le due gestualità — ognuna evocativa di specifica appartenenza politica — resta l’insuperabile dato oggettivo che il nostro ordinamento non punisce il pugno chiuso diversamente dal saluto romano».