Fonte:
www.tvsvizzera.it
Autore:
Mark Livingston (a cura di)
Divieto di Hamas: la Svizzera neutrale prende posizione
Vietare l’organizzazione di Hamas danneggerebbe i buoni uffici della Svizzera? Il Parlamento ha discusso su questo tema per anni. Ora il dado è tratto. Le ragioni a favore di una messa al bando hanno prevalso.
La Svizzera ha finora adottato una posizione prudente nei confronti delle organizzazioni definite terroristiche da alcuni Stati, evitando spesso di emettere divieti. Di norma tiene le porte aperte. La diplomazia svizzera si impegna a dialogare con tutti, come afferma il suo motto.
Questo valeva anche per Hamas. Per decenni, la Svizzera ha mantenuto un dialogo discreto ma a volte intenso con l’organizzazione palestinese, fino a pochi anni fa.
La Svizzera sfruttava i contatti con Hamas a Gaza per esortare questo movimento a rispettare il diritto internazionale umanitario. Era, ad esempio, uno degli argomenti avanzati dal Consiglio federale nel 2017, quando per la prima volta il Parlamento svizzero ha dibattuto su una richiesta di vietare Hamas.
“Politica di contatto con Hamas”
Già allora il Consiglio federale sottolineava l’importanza dei buoni uffici nella sua politica estera. Ha inoltre giustificato la sua cosiddetta “politica di contatto con Hamas” in questo modo: “L’impegno svizzero mira alla prevenzione dell’estremismo violento”.
Un impegno caduto nel vuoto. O meglio nell’abisso il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha compiuto il peggior massacro nei confronti della popolazione ebraica dall’Olocausto.
I membri dell’organizzazione palestinese hanno ucciso 1’200 persone e ne hanno rapite altre 250. Hamas ha annunciato che tali attacchi sarebbero stati ripetuti fino alla distruzione di Israele.
Dopo quanto accaduto, non vi era più spazio per il dialogo. Su richiesta del Parlamento, il Governo ha elaborato una legge per la messa al bando di Hamas. Una legge che il Parlamento ha adottato definitivamente mercoledì, con il “sì” del Consiglio nazionale (168 voti a favore, sei contrari e 14 astensioni).
Nuova dottrina del divieto
Per la Svizzera, si tratta di un allontanamento dalla dottrina che seguiva in precedenza. È vero, in passato ha vietato Al Qaeda e lo Stato islamico. Ma questi provvedimenti erano previsti dalla legge, perché fino ad oggi la Confederazione adottava solo i divieti pronunciati dall’ONU.
Hamas, invece, non è sulla lista delle organizzazioni terroristiche dell’ONU. Ecco perché la Svizzera ha dovuto creare una legge ad hoc per poter andare oltre alla politica che si era finora autoimposta.
Questo passo dovrebbe rimanere un’eccezione. “Non vogliamo creare un meccanismo automatico di divieto”, afferma un politico esperto di sicurezza coinvolto nel dossier.
La diplomazia svizzera è preoccupata
Alcune diplomatiche e diplomatici svizzeri sono preoccupati. Finora il loro compito era di posizionare la Confederazione come un mediatore neutrale.
Il timore è che in futuro dei Paesi partner – come gli Stati Uniti o la Turchia – possano far pressioni sulla Svizzera affinché vieti organizzazioni a loro sgradite, sia per dare un segnale, sia per rintracciare i loro flussi finanziari.
Altri Paesi non neutrali sono stati più rapidi nel vietare Hamas. L’UE l’ha inserito nella sua lista delle organizzazioni terroristiche già nel 2003, due anni dopo gli attacchi dell’11 settembre.
All’inizio del 2024, dopo il massacro del 7 ottobre 2023, Bruxelles ha esteso questo divieto e ha emanato sanzioni.
Anche gli Stati Uniti (1997) e il Regno Unito (2001) hanno esplicitamente vietato Hamas. Israele ha fatto il primo passo, mettendo al bando l’organizzazione subito dopo la sua fondazione nel 1987.
Per alcuni, il bando arriva troppo tardi.
La Svizzera ha molti gruppi parlamentari. In essi si riuniscono membri del Parlamento di diversi partiti, che si impegnano per una causa comune.
Uno di questi è il Gruppo parlamentare Svizzera-Israele, amico di Israele. Per i suoi membri, il divieto della Svizzera arriva in ritardo, e questo lascia un sapore di amarezza.
“Avremmo dovuto vietare Hezbollah e Hamas molto tempo fa. È evidente con chi collaborano”, afferma il presidente Alfred Heer.
Il consigliere nazionale dell’Unione democratica del centro (UDC) fa riferimento al dittatore siriano Assad, ormai caduto, e all’Iran, che muove le sue pedine in tutta la regione. Il fatto che solo il massacro del 7 ottobre sia sfociato in un divieto lo rende amareggiato.
Per Heer, non c’è alcuna differenza tra l’Hezbollah sciita e l’Hamas sunnita. Per questo motivo, ha sempre sostenuto anche il divieto di Hezbollah.
“Hamas è nato per sabotare la pace in Medio Oriente, e Hezbollah lancia i razzi per il medesimo scopo”, afferma. Ha destabilizzato il Libano e ha tenuto al potere un assassino in Siria.
Rimarrà un’eccezione?
Oltre al divieto di Hamas, anche quello di Hezbollah? Il Consiglio federale non ne ha voluto sapere, nonostante una mozione delle commissioni di politica di sicurezza di entrambe le Camere chiedesse esattamente questo.
Il ministro della giustizia Beat Jans ha affermato in Parlamento che la Svizzera non ha una cultura del divieto nella sua politica estera. Se la Svizzera ora decide di vietare tali organizzazioni con leggi speciali, si solleverà inevitabilmente la questione di dove e come tracciare i confini.
Un aspetto sottolineato anche da Carlo Sommaruga, membro del Consiglio degli Stati del Partito socialista. Sostenitore di lunga data della causa palestinese, è stato l’unico nel Consiglio degli Stati a votare contro il divieto di Hamas.
La Svizzera ha deliberatamente evitato di sanzionare i talebani in Afghanistan, l’IRA in Irlanda, l’ETA in Spagna, l’RSF in Sudan o le FARC in Colombia come organizzazioni terroristiche, ha affermato. Quindi, c’è una contraddizione.
Il divieto di Hezbollah in lista d’attesa
Il ministro della giustizia Jans ha anche sostenuto, in linea con la strategia del Governo, che un divieto di Hezbollah avrebbe compromesso i buoni uffici.
“Non dobbiamo sottovalutare l’impatto di tali divieti sulla percezione della Svizzera nella regione e sulle potenziali future attività di mediazione della Svizzera come Paese neutrale”, ha sottolineato in Parlamento.
Un’opinione non condivisa da Alfred Heer: “Se Israele vuole far capo ai buoni uffici della Svizzera [per mediare con Hamas o con Hezbollah, ndr], allora possiamo ancora fornirli”, ribatte.
Indirettamente, Beat Jans si è detto d’accordo: “Non è escluso che la Svizzera, nonostante questo divieto, parli con Hamas”.
La consigliera agli Stati del Centro Marianne Binder-Keller ritiene che la reazione di non prendere posizione invocando i buoni uffici sia sbagliato.
Bisogna prendere in considerazione il rapporto costi-benefici. “Se non le indeboliamo, queste organizzazioni non causano molti più danni?”, si chiede.
Binder-Keller è una delle autrici della mozione che voleva vietare anche Hezbollah. Il Consiglio degli Stati ha sostenuto con risoluzione questa proposta, ma il Consiglio nazionale ha deciso di rimandare una decisione al riguardo.
Anche per quanto riguarda Hezbollah, l’UE aveva già imposto sanzioni dieci anni fa. Nel 2013, ha classificato il braccio militare del movimento sciita libanese come un’organizzazione terroristica.
Gli Stati Uniti hanno aperto la strada nel 1997. Anche la Gran Bretagna e i Paesi Bassi hanno imposto divieti al braccio civile dell’organizzazione.
A partire dal 2020, altri Paesi, tra cui la Germania e l’Estonia, hanno seguito la strada tracciata dagli Stati Uniti per abbandonare la distinzione tra braccio militare e braccio civile.
L’elenco dei Paesi che mettono fuorilegge Hezbollah ora si estende al mondo intero: dai 21 Stati della Lega Araba (decisione però revocata in giugno), all’Argentina e al Giappone, fino all’Australia e alla Nuova Zelanda.
La Svizzera non deve diventare un rifugio
Un motivo importante per Binder-Keller è anche il contesto internazionale, in particolare la chiara posizione dell’UE dopo il massacro del 7 ottobre.
L’Europa sta serrando le file, afferma l’esponente del Centro: “La Svizzera deve fare in modo di non diventare un rifugio per tali organizzazioni”.
Chi si occupa di politica di sicurezza come lei, vede nel divieto di Hamas molto più di una mera politica simbolica. “Facilita la prevenzione e permette di bloccare i flussi finanziari”, sottolinea.
“Solo se non si chiude un occhio sull’antisemitismo…”
Il membro dell’UDC David Zuberbühler, che ha sostenuto con forza il divieto di Hezbollah in Consiglio nazionale, vede la decisione del Parlamento come un rafforzamento della posizione svizzera sulla scena internazionale.
“Il nostro Paese – dice – può essere un vero e credibile mediatore di pace solo se non chiude un occhio di fronte all’antisemitismo, al terrorismo, alla glorificazione della violenza e al razzismo”.
Lo stesso vale per l’esperto di politica estera Nik Gugger del Partito popolare evangelico (PEV). Alla luce dei recenti avvenimenti in Medio Oriente, forse sarebbe un bene se un Paese come la Svizzera mostrasse ora una posizione chiara e netta: “Può fungere da segnale, ad esempio per colui che sarà il nuovo uomo forte in Siria, affinché possa orientarsi”.
Articolo a cura di Mark Livingston
Traduzione di Daniele Mariani