Fonte:
Avvenire
Autore:
Diego Motta
«Timori per il boicottaggio crescente Ora tocca alla maggioranza silenziosa»
Santerini: pesano le scelte del governo Netanyahu, ma attenti adesso all’antisemitismo implicito
« Siamo passati dalla fase dei proclami di piazza a quella del boicottaggio. E questo preoccupa». Milena Santerini, già coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, oggi è vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano. Ha avuto e ha diversi ruoli accademici all’Università Cattolica di Milano. Già dopo il 7 ottobre, Santerini aveva avvertito dei rischi di una crescita dell’antisemitismo strisciante, soprattutto da parte delle nuove generazioni, parlando di «ragazzi che iniziano a essere indifferenti verso l’Olocausto». Adesso registra «una spinta allo scontro negli atenei da parte di alcuni gruppi di studenti, una minoranza. Per questo è necessario, anche alla luce di quanto ribadito dalla Conferenza dei rettori, che torni a farsi sentire la maggioranza silenziosa degli allievi e dei docenti».
Perché parla di boicottaggio?
Il timore è che si ripeta in Italia quello che è accaduto nelle università anglosassoni, che negli anni Settanta erano all’avanguardia del cosiddetto free speech, la libertà di parola, e adesso promuovono lo stop ai rapporti con le istituzioni accademiche israeliane. E un controsenso, innanzitutto scientifico: la cooperazione tra atenei si fonda proprio sulla necessità di uno scambio di conoscenze, sulla cultura che unisce al di là della politica. Anzi: proprio il sapere va tenuto in una zona franca e va protetto dalle divisioni.
Dall’Università di Torino, che ha deciso di non partecipare al bando di collaborazione scientifica con gli atenei israeliani, fino al caso Molinari, il direttore di “Repubblica” cui è stato impedito di partecipare a un convegno a Napoli, la pressione di diversi collettivi studenteschi, soprattutto di sinistra, è sempre più forte.
Sull’attuale scenario non è ininfluente, anzi, il peso delle politiche del governo Netanyahu, contestato fortemente anche in patria. E molto grave quanto accaduto ai giornalisti e a chi si fa portavoce di un modo di pensare argomentato e ragionato, che non trascura affatto le responsabilità attuali di Israele. Quanto alla mobilitazione dei giovani, essa è collegata a un’ansia di giustizia e al rispetto dei diritti umani. Naturalmente si inserisce nella capacità che ha la causa palestinese, intesa come sostegno agli oppressi, di offrire un motivo di impegno a tanti. Ma identificarsi con una sola parte può nascondere un antisemitismo implicito che trova un alibi nell’opposizione a Israele.
Come combattere la logica della costruzione del nemico?
Penso tocchi adesso a chi ha seguito il dibattito, ma non ha preso posizione. C’è una maggioranza silenziosa, fatta di studenti e professori, che non può più essere ostaggio della prepotenza di pochi, ma deve decidere di farsi sentire. Teniamo fuori dagli ambienti accademici le intimidazioni ideologiche e le censure preventive.