20 Febbraio 2024

La professoressa Dina Porat illustra la struttura antisemita di Hamas

Fonte:

La Repubblica

Autore:

Dina Porat

Con Hamas non si convive

I terribili eventi del sette ottobre hanno indotto la società e le autorità di Israele ad aprire gli occhi. Anzi: sono stati per loro come un colpo in pieno viso. L’illusione (che in anni recenti si era fatta strada) secondo la quale Hamas sarebbe scesa a patti con Israele se solo avesse ricevuto fondi sufficienti a finanziare i propri leader e lo sviluppo di un’economia migliore per i cittadini della Striscia di Gaza è andata in frantumi. I fondi che arrivavano dal Qatar (passando per l’Egitto) e da Israele erano più che sufficienti. Dall’estate del 2014 la situazione militare era relativamente stabile — benché i kibbutz e le città di confine continuavano ad essere bersaglio di missili, ai quali l’Idf reagiva con operazioni su piccola scala. Eppure, una convivenza sembrava possibile. Per comprendere da dove nasca una simile illusione occorre sottolineare che la mentalità israeliana è per sua natura occidentale: pensa seguendo linee logiche, calcola le proprie mosse in base al profitto e mira al benessere di cittadini e nazioni. La mentalità occidentale, e quella cristiana in particolare, ritiene che gli esseri umani siano fondamentalmente onesti, e che se messi in condizioni opportune e di fronte ad occasioni propizie tendano a comportarsi rettamente. Quando i leader e gli opinion maker israeliani e occidentali pensano all’Islam e ai musulmani lo fanno sulla base del proprio modo di pensare e delle proprie convinzioni, e non su una profonda e attenta conoscenza della mentalità e delle convinzioni dei musulmani. Credono ciò che vorrebbero fosse vero. Questo è il motivo per cui di fronte ai fatti del sette ottobre Israele si è trovata impreparata: non avevamo capito la profondità e l’intensità dell’odio in cui intere generazioni nel mondo musulmano — e in particolare a Gaza e nell’autorità palestinese — sono cresciute, né il bruciante desiderio di annientare completamente Israele e la presenza ebraica nella regione e fuori da essa. È curioso come non siano molti gli israeliani che hanno letto la convenzione di Hamas del 1988, nella quale la completa distruzione di Israele e degli ebrei che lo sostengono è posta esplicitamente come obiettivo primario. Si tratta di un documento apertamente antisemita, in cui passaggi anti-sionisti sono infarciti di termini e nozioni antisemiti. In anni recenti Hamas ha iniziato a tentare di quietare le preoccupazioni di Israele, fingendo di avere come obiettivo i finanziamenti e il miglioramento dell’economia. Nella convenzione pubblicata nel 2017 si legge che in realtà Hamas non ha nulla contro gli ebrei di tutto il mondo, ma solo contro lo Stato di Israele. Il documento fa si riferimento ai confini precedenti al 1967, ma ne parla solo come di una possibilità. Ma si trattava di una finta: la convenzione originaria, dai propositi assassini, non è mai stata disconosciuta. Leggere la convenzione di Hamas significa guardare in faccia l’odio che ci circonda. E avendolo fatto, è difficile andare avanti con ottimismo. Il più delle volte, gli israeliani e i pensatori occidentali ignorano la dimensione religiosa che è alla base delle politiche dell’Islam radicale. I concetti di laicità e di ateismo e il dibattito attorno alla separazione tra religione e Stato — così centrali nella cultura occidentale, non sono semplicemente rifiutati dall’Islam, ma addirittura nemmeno previsti dalle dottrine musulmane. Lo stesso accade con la separazione tra interesse religioso e interesse geopolitico — che pertiene al pensiero occidentale e che nell’Islam non esiste. Così, leggendo la convenzione di Hamas ci si rende conto di come questo affondi le proprie radici più profonde non nell’attuale conflitto con Israele e nella situazione dei civili a Gaza, bensì in antichi precetti religiosi, nel Corano e nelle sue interpretazioni. Gli autori della convenzione hanno tentato in ogni modo di dimostrare che più le radici religiose sono profonde, più sono forti e legittime. Un altro fattore da prendere in considerazione è la divisione del potere nel mondo contemporaneo e l’impatto che questa ha avuto nel determinare i fatti del sette ottobre: Israele, per quanto piccolo, fa innatamente parte dell’Occidente. E alleato degli Usa, della Gran Bretagna, della Francia e di altri Paesi europei che gestiscono i propri affari sulla base di uguali valori e della stessa mentalità. Sul fronte opposto, l’Iran ha stretto un’alleanza con Russia e Cina. I tre Paesi sono ferventemente anti-americani e anti-occidentali, e quindi ostili ad Israele e agli ebrei. Nel materiale propagandistico distribuito dall’Iran, Usa e Israele sono, rispettivamente, rappresentati come il grande e il piccolo satana. L’Iran finanza, addestra e arma gli Hezbollah a Nord di Israele, Hamas a sud, e i nuovi arrivati nella regione: gli Houthi dello Yemen, affinché lancino attacchi contro Israele. Gli accordi di Abramo, stretti in anni recenti e con il sostegno dell’America tra Israele e gli Emirati, e la distensione dei rapporti con il Marocco rappresentano un pericolo per questa divisione in due blocchi, perché sposta i Paesi musulmani verso l’Occidente. Non stupisce, allora, che gli eventi del sette ottobre siano avvenuti proprio quando Israele e Arabia Saudita — una presenza forte e ricca della regione — stavano per formalizzare il loro rapporto. Tutto ciò rafforza in Occidente il timore che musulmani estremisti e radicali possano compiere nuovi atti di violenza, soprattutto per mano di gruppi jihadisti, di attivisti di cellule che ancora obbediscono all’Isis e di quanti vogliano emulare Hamas reiterando le violenze del sette ottobre. È assolutamente imperativo che Israele e l’Occidente, con coraggio, studino l’Islam e l’islamismo radicale. Così facendo, oltre a metter da parte le illusioni, riuscirebbero a comprendere i valori musulmani non per come vorrebbero che fossero ma per ciò che davvero sono.

(Traduzione di Marzia Porta) L’autrice è consulente accademica del centro Yad Vashem Professoressa emerita dell’Università di Tel Aviv