Fonte:
La Stampa
Autore:
Bruno Ruffilli
Razzismo e Olocausto negato Zuckerberg nei guai in Germania
Inchiesta della procura di Monaco di Baviera. Contestati a1 social network 438 episodi
Dopo l’Italia, la Germania. La procura di Monaco di Baviera ha aperto un’inchiesta contro il fondatore e Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, con l’accusa di complicità nell’incitazione all’odio razziale e negazione dell’Olocausto. Coinvolti altri nove dipendenti del social network, tra cui la direttrice operativa Sheryl Sandberg, il responsabile dei rapporti con i governi europei Richard Allan e la sua omologa di Berlino Eva-Maria Kirschsieper. L’indagine è partita dalla denuncia presentata lo scorso settembre dall’avvocato Chan-jo Jun, di Würzburg, specializzato in diritto informatico e in particolare in questioni che riguardano l’hate speech. Jun ricorda che Facebook è obbligata dalla legge tedesca a rimuovere immediatamente dalle sue pagine contenuti illegali o che incitano all’odio e riporta 438 episodi in cui questo non è avvenuto nemmeno dopo ripetute segnalazioni. Eppure le regole sono chiare, e indicate dallo stesso social network in una pagina apposita: «Facebook rimuove i contenuti che incitano all’odio, compresi quelli che attaccano direttamente una persona o un gruppo di persone in base a: razza, etnia, nazionalità di origine, affiliazione religiosa, orientamento sessuale, sesso, disabilità o malattia. Le organizzazioni e le persone impegnate a promuovere l’odio contro questi gruppi protetti non possono avere una presenza su Facebook». Evidentemente non basta il controllo degli utenti, che segnalano i post offensivi o non consentiti, e non bastano le 200 persone che lavorano a Berlino per filtrare i messaggi che incitano all’odio razziale. L’azienda in una nota dichiara le accuse «prive di valore» e sottolinea che «non vi è stata alcuna violazione della legge tedesca da parte di Facebook o dei suoi dipendenti. Non c’è posto per l’odio su Facebook. Lavoriamo a stretto contatto con i nostri partner per combattere l’hate speech e promuovere il counter speech». E in realtà, secondo i dati del ministero della Giustizia tedesco, il social network ha eliminato il 46% dei messaggi vietati, YouTube (controllata da Google) il 10%, Twitter solo l’1%. YouTube ha appena rivisto le regole per commentare i video, rendendole più severe, e Facebook aggiorna di frequente gli standard della comunità, ma per Jun il punto è un altro: «II diritto tedesco vale anche per i giganti di internet, e ora per la prima volta si riconosce la volontà politica di procedere con delle sanzioni contro Facebook». In marzo, infatti, una denuncia analoga alla procura di Amburgo era rimasta senza conseguenze per mancanza di competenza territoriale e le indagini contro i manager tedeschi del social network erano state archiviate. «La questione aperta è se le leggi attuali siano sufficienti oppure devono essere riscritte per costringere Facebook a rispettare il diritto tedesco», osserva ancora Jun. E c’è già qualche precedente: in Brasile, ad esempio, dove il governo qualche mese fa ha arrestato e poi scarcerato Diego Dzodan, numero due del social network per l’America Latina, perché Whatsapp (controllata da Facebook) si è rifiutata di fornire i dati necessari a identificare un potenziale criminale.