Fonte:
Il Messaggero
Autore:
Luigi Zoja
Quella paranoia verso il nemico che frena il dialogo
Delirio di persecuzione e traumi generazionali si sommano E un dibattito su Gaza, in queste condizioni, diventa impossibile
Le attività psicoanalitiche sono rivolte alla comprensione nei tempi lunghi. Ma la professione è praticata da umani, che inevitabilmente soffrono di difetti umanissimi: scontri, riconciliazioni, scissioni. Queste emozioni che si incendiano nei tempi brevi dovrebbero farci riflettere una deformazione mentale generale che riguarda la modernità tutta. Quando avvenne l’attacco alle Torri Gemelle abitavo a New York. Mi misi a studiare la paranoia: a differenza dalle altre patologie psichiche, in un clima surriscaldato contagia mental- ci. mente non solo l’individuo ma la collettività. Anche noi anali-
I PROCESSI MENTALI
Si tratta di una soffusa patologia collettiva, che la comunicazione ultrarapida pub magnificare invece di correggerla. La paranoia è infatti un processo mentale molto semplificato che fa diventare chiara, inconfutabile, la soluzione a ogni problema. Esiste un nemico: basta identificarlo e distruggerlo. In un mondo sempre più enigmatico come quello del nostro secolo, è la spiegazione che cercano le menti più fragili. Corrisponde a quella che il politologo Colin Crouch ha chiamato post-politica e a ciò che oggi spesso deno-, miniamo populismo. Le dittature instauravano addirittura un processo circolare. Il capo usa la paranoia come strumento di propaganda, la massa gliela restituisce incrementata. Le malattie mentali portano alla esclusione dalla società. Qui avviene il contrariò: per un politico, usare la paranoia pub significare il successo. Essa è irrefutabile: non riconosce la contraddizione, perché inverte le cause autorafforzandosi. Hitler attribuiva ogni male agli ebrei. Prima dello sterminio li fa richiudere nei ghetti in condizioni insostenibili. Scoppiano epidemie per la mancanza di igiene, ma il commento è: “Lo sapevamo che si lavano poco”. Anche Stalin rovescia le cause. La sua paranoia mira ai kulaki, i contadini “ricchi”. Quando gli riferiscono che hanno tanta fame da scavare nella neve per mangiare l’erba, questo dimostra che aveva ragione lui: “Lo sapevamo, sono parassiti che non vogliono lavorare”. Il pensiero paranoico ha un difetto strutturale: attribuisce la complessità umana a un unico agente malvagio. Ogni umano commette errori, eppure quelli che identifica il paranoico sono sempre sbagli altrui. Il pensiero paranoico è incapace di qualunque autocritica. La paranoia è una anti-psicologia, un ritiro verso la semplicità mentale. Secondo Hitler gli ebrei complottavano per dominare il mondo. Non lo dimostrò mai, ma su basi come quella diede fuoco al mondo. Anche oggi si denunciano dei complotti, senza dimostrarli. Secondo i “cospirazionisti”, proprio questo “dimostrerebbe” che sono veri: i complotti più temibili sono infatti sempre segreti.
LA COMPLESSITA’
Come tutti i contrasti che riguardano l’identità e la psicologia dei gruppi, la complessità del Medio Oriente è infinita. Quindi la loro analisi potrebbe scoprire “gli antecedenti”: ma già parlare di “cause” sarebbe una semplificazione. Oltre un secolo fa Lord Balfour, a nome del governo inglese, approvava up progetto di entità ebraica nella “Palestina”, rispettando le altre popolazioni. Ma questo antenato della divisione in due Stati, arabo ed israeliano, che fondamento aveva? Quelle terre allora appartenevano agli ottomani, secondo trattati internazionalmente riconosciuti. Già l’atto fondativo comportava un arbitrio, non dei contendenti ma britannico. Poi in quell’area si sono succedute molte guerre. Dal punto di vista psicopatologico, la guerra e il surriscaldamento della psiche collettiva» che l’accompagna corrispondono a rotture del pensiero, sostituito da diffusa paranoia: “Quando tornerà la pace, ragioneremo. Oggi dobbiamo attaccare per primi”. Le collettività intere sono traumatizzate. Gli abitanti di Gaza, formicaio impazzito sotto le bombe, la cui fuga è un girotondo che li riporta all’inizio. Ma anche quelli di Israele, paese percorso a Nord, Est e Sud da esplosioni, dove una stanza-rifugio esiste nelle abitazioni normali. Nelle due popolazioni, la paranoia si generalizza: non è solo un delirio di persecuzione ma una realtà che perseguita. I traumi generazionali si sono già accumulati al loro interno. Le loro cicatrici saranno visibili nel XXII Secolo. Vediamo cortei di studenti incoraggiati da genitori che decenni fa sfilavano per il Vietnam e la decolonizzazione. Ma tutto è cambiato. Le guerre coloniali ancora in corso sono gestite da miliziani russi. Le proteste sono basate sempre meno su informazioni; sempre più su pregiudizi paranoici. Quanti sanno che (New York Times 15 marzo 2024, p. 9), con la creazione di Israele, dai paesi arabi e mussulmani si scacciarono più ebrei di quanti arabi vennero espulsi dalla ex-Palestina inglese? David Gerbi – il collega romano di cui parlavo è un profugo della Libia; così come lo sono diversi miei pazienti di Milano. Non viene istintivo confrontarli con i profughi palestinesi perché si tratta di persone ben integrate nel ceto medio italiano, non di gruppi che vivono di aiuti internazionali in campi “provvisori”. Eppure ignoriamo i dati basilari riguardanti gli ebrei che risiedono in Italia. Secondo la i sondaggi SWG, la grande maggioranza ritiene che gli ebrei residenti siano da 500.000-1.000.000 a oltre due milioni. Il numero reale è circa 30.000. Non è necessario essere psichiatri per capire che questa immensa sopravvalutazione equivale a una dose inconscia di timore paranoico. L’italiano medio si dichiara non razzista, la realtà è più complicata.
IL CASO NORVEGESE
La Norvegia è fra i paesi europei più democratici, dove la violenza politica era quasi sconosciuta. Nel 2011 il neo-nazista Anders Breivik uccise 77 perso- ne per protestare contro la tolleranza e l’immigrazione dei musulmani. In internet aveva pubblicato un manifesto di 1.500 pagine con le sue teorie. Dopo il massacro, le letture di quel delirio schizzarono al cielo: e con loro, sui social, gli attacchi anti-islamici dei suoi concittadini. La maggioranza dei norvegesi reagì con la tradizionale compostezza, ma una minoranza isterica si era risvegliata. Proprio perché la paranoia è “psichicamente contagiosa”, infetta i gruppi di cittadini dalla mente più fragile e sguarnita. Qui compensa il vuoto con apparenti passioni: effimere ma pericolose come un dopo-partita, dove per continuare a emozionarsi si può mettere mano al coltello. Anche oggi siamo lontani dal disporre delle premesse per condurre un dibattito su Gaza. Ignoriamo la sua dimensione storica e quella psicopatologica, che col dibattito si pone in moto.