8 Luglio 2017

La Corte di Cassazione conferma il proscioglimento di un militante di destra per aver fatto il saluto romano

Fonte:

Il Giorno edizione di Milano

Autore:

Nicola Palma

Saluto romano per ricordare Ramelli

«Non è una manifestazione fascista»

La Cassazione conferma il proscioglimento di un militante di destra

ORMAI SEMBRA che la Cassazione abbia preso una direzione ben precisa: fare il saluto romano durante una commemorazione non rientra nei casi puniti dall’articolo 5 della legge Scelba, quello che riguarda le manifestazioni fasciste. Dopo aver confermato nel 2016 i verdetti del gup Donatella Banci Buonamici per il «presente» del 29 aprile 2014 (tre assolti in abbreviato e non luogo a procedere «perché il fatto non sussiste» per altri sette), nei giorni scorsi la Suprema Corte ha bocciato il ricorso presentato dalla Procura di Milano contro la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Simone Valentino, militante di Forra Nuova che quella sera sventolò (insieme ad altri) bandiere «raffiguranti la croce celtica» durante il corteo da piazzale Susa a viale Lombardia. Valentino è stato giudicato a parte perché in sede di udienza preliminare chiese la sospensione del procedimento per messa alla prova; percorso poi reso inutile dalla pronuncia di proscioglimento «per insussistenza del fatto».

E ORA è arrivata anche la parola definitiva da parte della Cassazione, che ha richiamato alla lettera la sentenza del 2 marzo 2016 della Prima sezione penale nei confronti di Federico Goglio (colui che chiamò tre volte il «presente» per Ramelli, Borsani e Pedenovi) e altri 6 imputati. Una sentenza che ha esaminato nel dettaglio quella emessa dal gup il 10 giugno 2015, tutta incentrata sull’analisi della normativa di riferimento: la legge numero 645 del 1952, meglio nota come legge Scelba, dal nome dell’allora ministro dell’Interno che la firmò. Si parte da un presupposto: che «le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascisti» non possono essere vietate in sé, «attese la libertà di espressione e di libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantite», bensì «solo se possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute, e quindi se attentano alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori allo stesso sottesi».

UN’INTERPRETAZIONE che porta come conseguenza un giudizio «di assoluta inoffensività» dei fatti accaduti il 29 aprile 2014 (e che accadono ogni anno in quella data simbolica per i movimenti di estrema destra) e quindi «di insussistenza degli estremi del reato contestato». Giudizio legato pure alle modalità di svolgimento della manifestazione nel mirino: corteo «in assoluto silenzio», senza alcun accenno «a comportamenti aggressivi» o «riferimenti a lotte e rivendicazioni politiche». Un verdetto riconfermato per intero a distanza di un anno. Un verdetto che arriva a due giorni dall’approdo alla Camera della proposta di legge, primo firmatario Emanuele Mano del Pd, di introduzione del reato di propaganda del regime fascista e nazifascista: nel mirino proprio svastiche, croci celtiche e saluti romani.