Fonte:
Il Foglio
Autore:
Luciano Capone
Israele, avamposto d’Europa
Roma. A un anno dagli attentati di Parigi, dalla strage del Bataclan, e nell’anno dei massacri che hanno insanguinato l’Europa, è sembrata insignificante a tanti la risoluzione con cui l’Unesco ha annichilito il legame millenario tra gli ebrei e Gerusalemme. Ma in realtà si tratta di un comune attacco, militare, politico e culturale a due mondi che sono indissolubilmente legati, perché “Israele è la frontiera d’Europa”. Questo era il titolo e di questo si è discusso nell’evento di giovedì organizzato dal Foglio, per ricordare, come ha fatto Giulio Meotti in apertura, che “Israele subisce questo tipo di aggressione dal 1948, da quand’è nato. Il massacro che quest’anno abbiamo visto all’aeroporto di Bruxelles, Israele l’ha subito nel 1972 quando un commando fece una strage all’aeroporto di Tel Aviv”. Israele non può fare a meno dell’Europa e l’Europa non può fare a meno d’Israele, è il contenuto comune degli interventi, soprattutto ora che la minaccia terroristica incombe anche nelle nostre città.
Nel suo saluto il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso “comprensione e vicinanza per le motivazioni di fondo del convegno”, ribadendo la necessità di una “battaglia contro l’antisemitismo in qualsiasi veste”, anche quando prende la forma dell’antisionismo, “che è un travestimento dell’antisemitismo, a cui si presta ossequio negando le ragioni di Israele”. E secondo il presidente Napolitano “la risoluzione dell’Unesco va in questa direzione”. “Israele è una roccia solida di stabilità e democrazia per la regione – ha detto l’ambasciatore d’Israele in Italia Ofer Sachs – è il faro della libertà politica e religiosa”. Sachs ha ringraziato il Foglio per la reazione alla risoluzione dell’Unesco, ricordando che “la pace si può ottenere solo con la fiducia, senza manipolare i fatti e la storia”. La storica egiziana Bat Ye’or ha parlato dell’“odio compassionevole nei confronti di Israele”, quell’odio che si manifesta in maniera diversa dall’alleanza tra “Petain, Hitler e il Gran muftì di Gerusalemme”, ma che ha al fondo le stesse ragioni, emblematicamente espresse con la “Shoah della memoria” dell’Unesco: “Negare la nostra cultura, vuol dire distruggere il principio della civilizzazione occidentale e la legittimità teologica del cristianesimo”. La vicinanza e l’amicizia tra ebrei e cattolici è stata indicata come “modello di convivenza esemplare” dall’arcivescovo di Ferrara monsignor Luigi Negri.
Hassen Chalghoumi, imam di Drancy, ha raccontato le violenze e gli attentati subiti per aver fatto nel 2004 “da uomo e musulmano una dichiarazione di rispetto della storia del popolo d’Israele davanti al memoriale della Shoah” di Drancy, la città da cui fu deportato l’80 per cento degli ebrei di Francia, “una macchia nera per l’Europa”. Il problema, spiega il presidente della Conferenza degli imam di Francia, è che l’Europa sta “importando questa guerra”: “Perché c’è questa catena d’odio incredibile in Francia e Belgio? Perché non c’è l’islam in Europa, c’è solo l’islam politico dei Fratelli musulmani, una cancrena finanziata da molti paesi arabi, con finalità politiche e non spirituali. La crisi siriana è esplosa in questo modo – dice Chalghoumi – è questo islam politico il nemico dell’Europa”. La stessa problematica è presente sottotraccia ma in maniera sempre più evidente anche in Italia, come ha spiegato l’antropologa Maryan Ismail, che ha abbandonato il Partito democratico proprio per l’apertura a movimenti legati alla Fratellanza musulmana: “Sono uscita dal mio partito pur essendo una donna di sinistra – ha detto Ismail – perché non voglio e non posso sedermi al fianco di coloro che professano l’ideologia che ha ammazzato mio fratello e ammazza la mia gente. L’islam politico in Italia c’è”. “Israele è uno ‘scandalo’ nel mondo arabo. Esiste un odio ontologico nei confronti di Israele, che è costitutivo dell’uomo arabo – ha detto lo scrittore algerino Boualem Sansal – ma arriverà il giorno in cui gli arabi guariranno da questo odio”. E una manifestazione evidente di questa volontà distruttiva è presente nelle affermazioni di negazione dell’identità storico-religiosa ebraica: “La negazione del Tempio – ha detto l’archeologo Gabriel Barkay, riferendosi al caso Unesco – è peggiore del negazionismo della Shoah, perché ci sono ancora i campi, i libri, le foto e le testimonianze dei sopravvissuti. Mentre il Tempio esisteva duemila anni fa”.
In chiusura Tzipi Livni, leader del partito Zionist union ed ex ministro degli Esteri israeliano, ha ribadito la necessità di “combattere la delegittimazione dello stato ebraico”: “Di Israele si parla sempre in modo emotivo, si vedono solo soldati israeliani e bambini palestinesi. Dobbiamo colmare questo divario e capire cos’è veramente Israele – ha detto Tzipi Livni – e la verità è che è la patria del popolo ebraico, ma incarna anche i valori del mondo libero: la democrazia, ma anche la tecnologia che arricchisce il mondo intero”. Un punto fondamentale è il conflitto col mondo arabo-palestinese: “Vivere in pace è nell’interesse israeliano – ha detto Livni – ma risolvere questo conflitto non risolverà il conflitto ideologico. Pensate forse che l’Isis si fermerà dal tagliare le gole?”.