Fonte:
Moked.it
Autore:
Valentino Baldacci
Antisemitismo vecchio e nuovo
Il recente scontro tra Israele e Hamas ha provocato, in tutto il mondo e anche in Italia, una nuova ondata di antisemitismo. È scattato il solito corto circuito per cui se qualcosa accade in o per opera di Israele responsabili vengono ritenuti gli ebrei di tutto il mondo. Niente di nuovo si dirà; è vero, ma in questo caso le manifestazioni di antisemitismo hanno avuto caratteri e anche meccanismi in parte nuovi.
Consueto è stato lo spettacolo dei cortei promossi soprattutto dai centri sociali con sventolio di bandiere palestinesi e slogan incendiari contro Israele, consueto il fuoco appiccato alle bandiere israeliane. Ma ci sono due aspetti di (relativa) novità che meritano di essere segnalati: uno è la partecipazione ai cortei e alle manifestazioni di gruppi consistenti di immigrati islamici, in certi casi guidati dai loro imam; l’altro – inconsueto per l’Italia ma non per altri Paesi – l’aggressione verbale o fisica a persone individuate come ebrei.
Anche il ruolo della stampa d’informazione e soprattutto delle televisioni è stato abbastanza diverso rispetto al consueto. In passato il copione prevedeva che si desse notizia sia dei razzi lanciati da Gaza sia della risposta israeliana dando però la precedenza alla reazione piuttosto che alla provocazione. Questa volta il copione è stato modificato: in maniera sostanzialmente uniforme i media hanno messo in evidenza soprattutto la sproporzione tra i morti a Gaza rispetto a quelli israeliani, suggerendo così che, se la ragione non stava necessariamente dalla parte di Hamas, certamente il torto era di Israele. Si tratta di un ragionamento singolare: se venisse accettato, poiché durante la II guerra mondiale i morti tedeschi, militari e civili, sono stati molti di più di quelli americani e inglesi, se ne dovrebbe concludere che la ragione stava dalla parte de nazisti.
Ma la conta dei morti è solo un aspetto della modalità con la quale la maggior parte dei media italiani ha parlato del conflitto israelo-palestinese. In queste vere e proprie campagne di disinformazione c’è del metodo. Si costruisce una memoria istantanea, che è una non memoria, fatta di istantanee, di episodi slegati tra di loro senza che se ne vada a ricercare la logica e la continuità nel tempo. Se si volessero far comprendere ai lettori e agli ascoltatori le motivazioni e anche la complessità del conflitto occorrerebbe informarli della sua lunga durata, partire da un secolo fa, dalla conferenza di Sanremo e dall’assunzione della leadership palestinese da parte di Amin al-Husseini, il Gran Mufti di Gerusalemme che scatenò una campagna d’odio contro gli ebrei che non si è più arrestata. Bisognerebbe dar conto, sia pure sommariamente, delle tante occasioni nella quali la leadership palestinese ha respinto la possibilità di costituire uno Stato accanto a quello ebraico, preferendo continuare il conflitto con l’obiettivo di impossessarsi dell’intero territorio che costituiva il mandato britannico della Palestina. Un giornalismo serio non dovrebbe trascurare, accanto alla cronaca, di ricordare le vere cause del conflitto. Se questo non avviene dobbiamo chiederci il perché e prendere atto della persistenza, anche nel mondo dell’informazione, di forme di antisemitismo, di un antisemitismo profondo e spesso inconsapevole, tanto inconsapevole da coinvolgere anche figure insospettabili.
Detto questo, non possiamo non porci le stesse domande che molti si pongono in Israele, semplici cittadini ed esponenti politici: se quella della reazione al lancio dei missili con bombardamenti massicci mirati a neutralizzare i capi e i militanti di Hamas ma che inevitabilmente, nonostante tutte le precauzioni e gli avvertimenti, colpiscono anche la popolazione civile compresi i bambini, è l’unica risposta possibile ai missili di Hamas o perlomeno è la risposta più efficace. Bisogna guardarsi dalla tentazione di dare lezioni di strategia militare stando seduti tranquillamente davanti a un computer. Ma gli amici di Israele hanno il dovere di tener conto del dibattito che su questi temi esiste e non limitarsi ad appiattirsi sulle posizioni dell’attuale Governo israeliano.