4 Aprile 2022

Intervista al demografo Sergio Della Pergola

Che tipo di ebreo sei? Pessimista o ottimista? Hai un’identità forte o debole? Tre studi rispondono

«L’odio per Israele non è mai scorporabile dall’antisemitismo». Lo afferma il demografo Sergio della Pergola in una ricerca. E sottolinea che oggi l’antisemitismo è una realtà percepita in forte crescita dagli ebrei d’Europa. Disagio, insicurezza, instabilità: in P contesto, come vivere la propria identità ebraica? Una religione, una cultura, un’appartenenza? Come definirsi?

«Primo Levi, a suo tempo, disse che chi poteva davvero testimoniare cosa fu la Shoah era colui che era morto nella Shoah. Una dichiarazione molto forte ed estrema, che però, con le dovute differenze, può applicarsi anche oggi nei riguardi dell’antisemitismo: chi può raccontare che cosa è l’antisemitismo sono le sue vittime, chi viene attaccato e colpito in quanto ebreo». Sono parole molto chiare e dirette quelle con cui Sergio Della Pergola, demografo e Professore Emerito all’Università Ebraica di Gerusalemme, spiega a Bet Magazine-Mosaico il suo punto di vista su cosa significhi fare ricerca su un fenomeno tanto antico quanto attuale dell’antisemitismo, di cui si è occupato in prima persona nell’ultimo decennio. In particolare nel 2012 e nel 2018 Della Pergola ha fatto parte del comitato scientifico di due grandi studi sull’odio antiebraico in Europa commissionati dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. Ed è partendo da questi due studi focalizzati sulla percezione da parte ebraica, l’ultimo dei quali ha coinvolto 16.000 ebrei in 12 paesi fra cui l’Italia, che Della Pergola trae alcune conclusioni importanti. «La prima – che potrebbe sembrare ovvia ma in realtà non lo è affatto – è che oggi l’odio contro Israele non è mai scorporabile dall’antisemitismo – spiega -. Oggi, infatti, l’antisemitismo è una negazione combinata di tre fattori: dell’uguaglianza rispetto agli altri, della memoria della Shoah, come memoria legittima degli ebrei, e della possibilità per gli ebrei di avere un proprio Stato sovrano, come dimostra anche il recente rapporto di Amnesty International che accusa Israele di essere uno Stato ebraico, ‘e pertanto’ di apartheid. Questi tre elementi oggi sono inscindibili».

Un altro aspetto che emerge con forza dalle indagini recenti è che quanto più la percezione dell’antisemitismo da parte dei cittadini non ebrei è bassa, tanto più l’antisemitismo è forte. «Se molti sono antisemiti e agiscono come tali, non riconosceranno certo l’odio antiebraico di cui sono fautori».

Ma come si esprime l’antisemitismo oggi? Secondo Della Pergola, esistono quattro forme diverse di odio antiebraico: quello più “pratico”, che si esprime con manifestazioni fisiche (vandalismi, attacchi fisici, ecc..), quello “populista”, che si diffonde in ambienti pubblici – come lo stadio, le manifestazioni pubbliche e i canali social -, quello “politico”, attraverso le attività dei partiti dei loro leader, e quello “narrativo”. «Quest’ultimo è il più insidioso, perché passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa intelligenti (tv di stato, quotidiani), l’accademia e i centri culturali – spiega lo studioso -. È un tipo di antisemitismo filtrato dallo studio, da un’apparenza di rispettabilità e serietà, ma ciò non toglie che abbia dei contenuti pericolosi e penetranti».

Al centro di tutto, secondo gli ebrei intervistati nell’ultima indagine, c’è internet, che ha permesso di globalizzare un fenomeno come l’odio antiebraico, manifestato nelle sue diverse forme. «Con il web, l’antisemitismo assume un’influenza planetaria ed è ormai scollegato da una percezione locale reale dell’ebraismo – spiega -. Anche in assenza di ebrei il messaggio antisemita si diffonde rapidamente a livello globale. Nella percezione degli ebrei europei oggi esiste dunque una quasi totale sovrapposizione fra l’antisemitismo come contenuto e internet/social come vettore di comunicazione, tanto che il mezzo è diventato il messaggio e il messaggio il mezzo. Non è un caso che i tre quarti degli ebrei europei, a fronte di attacchi fisici non necessariamente più numerosi, percepiscano comunque un aumento dell’odio antiebraico, un clima di aggressione che nasce e si moltiplica sulla Rete e che crea disagio e insicurezza».

In alcuni Paesi, come Francia e Belgio ad esempio, tutto ciò porta a nascondere la propria ebraicità, celando i segni visibili (kippà, maghen David, ecc..) e, in casi estremi, quando non ci si sente più “a casa”, anche a emigrare in Israele o in America.

E l’Italia? «Il nostro Paese sta in mezzo al gruppo degli altri, con percezioni né estremamente alte né estremamente basse, ma comunque la sensazione che l’antisemitismo sia in crescita c’è anche da noi. Interessante notare che in un tipo di manifestazione di odio antiebraico l’Italia risulta al primo posto in Europa: nello sport, allo stadio».

Identikit degli odiatori

Un altro aspetto interessante è la caratterizzazione dell’identità degli antisemiti, che varia a seconda della tipologia. «Per l’antisemitismo pratico, secondo la maggioranza degli intervistati, l’aggressore è musulmano, mentre per quello populista viene da ambienti di destra o di matrice cristiana – prosegue lo studioso -. Il tipo narrativo è invece più di sinistra e ha sempre Israele al centro degli attacchi, mentre quello populista si concentra sulla minimizzazione della Shoah e sugli stereotipi dell’ebreo. Sono verità che non piaceranno a molti, ma è quello che percepiscono le vittime, che sono le uniche che possono davvero dire che cosa sia l’antisemitismo, al di là dei dibattiti sulla sua definizione».

Eloquenti in merito a questa asimmetria di percezione – nella popolazione ebraica più che in quella non ebraica – sono alcune risposte date nelle interviste. «Alla domanda ‘il Bds è antisemita?’ l’85% degli ebrei europei ha risposto affermativamente, mentre al di fuori del mondo ebraico il boicottaggio nei confronti di Israele non è percepito come azione antisemita. Ma ‘criticare Israele?’ solo un terzo degli intervistati ebrei ritiene che sia antisemita, perché la critica ad azioni politiche di un governo è assolutamente considerata legittima, mentre non lo è la negazione del diritto ad avere uno Stato nazionale che, secondo la maggior parte degli intervistati, sta dietro al boicottaggio».

L’identità ebraica in Europa: cosa, chi e come?

È partendo dai dati fin qui analizzati che Della Pergola, con il collega Daniel Staetsky, ha esteso l’indagine sull’ebraismo europeo ai diversi aspetti dell’identità ebraica. Essere ebrei oggi, in definitiva, è una libera scelta in una società che da un lato manifesta ostilità, ma dall’altro sa essere anche molto accogliente. Il discorso sull’identità ebraica adesso in Italia, come nel resto del mondo, è spesso ridotto a un giudizio lineare fra “forte” e “debole”, o fra “ottimista” e “pessimista”. Questo riduce ai minimi termini una problematica che in realtà è molto più complessa e interessante. La nuova ricerca distingue invece all’interno del complesso dell’identificazione tre facce distinte: il “che cosa”, il “perché”, e il “come”.

«Il ‘che cosa’ si riferisce alla definizione stessa dell’oggetto – spiega lo studioso -. L’ebraismo è una religione? O un’etnia? Una cultura? Un retaggio familiare? Una blanda appartenenza? Moltissimi aderiscono a più di una opzione, ma le risposte in Europa vanno più nel senso della discendenza familiare che in quello della religione. La percezione dell’ebraismo come nazione è invece meno diffusa».

Il “perché” riguarda invece i grandi temi di contenuto: ci si può sentire ebrei soprattutto in funzione della memoria della Shoah, o della lotta contro l’antisemitismo, del sentimento di appartenenza al popolo ebraico o del sostegno allo Stato d’Israele, del credere in Dio o del celebrare le feste ebraiche in famiglia, del vincolo con la comunità ebraica di appartenenza o dell’interesse verso la cultura ebraica in senso lato. Ovviamente quasi tutti attribuiscono importanza a diverse di queste componenti. Ma la rilevanza del binomio Shoah/antisemitismo risulta nettamente più diffusa, seguita da una forte centralità di un senso generale di appartenenza all’ebraismo e di sensibilità verso Israele. Gli aspetti legati alla fede e alla tradizione religiosa attraggono proporzioni relativamente meno cospicue del pubblico europeo, con molte e importanti differenze tra un paese e l’altro.

«Infine il ‘come’ riguarda il modo di comportarsi, di presentare se stessi in pubblico, e i tipi di associazione con altri ebrei simili – spiega Della Pergola -. Nettamente preferite dagli ebrei europei sono definizioni del tipo ‘ebreo tradizionale’ o ‘semplicemente ebreo’, mentre appartenenze più marcatamente ideologiche come ‘ortodosso/haredi’ oppure ‘riformato/progressista’ raccolgono consensi meno numerosi. Interessanti da rilevare sono le apparenti sovrapposizioni e contraddizioni fra questi diversi strati identitarii: per esempio, non necessariamente chi concepisce l’ebraismo come religione dice di credere in Dio, e non necessariamente chi dice di credere in Dio si definisce ortodosso o haredi».

La confortante conclusione dello studio è che la similitidine delle percezioni e la comunione di interessi fra gli ebrei europei è in realtà molto maggiore e più forte rispetto alle divisioni interne e ai conflitti che spesso notiamo nella vita delle comunità. Emerge quindi un invito alla riflessione sulla necessità di maggiore coesione e armonia, in particolare alla luce delle pressioni dall’esterno che non accennano a diminuire.

Lo studio in inglese è disponibile in rete:

www.jpr.org.uk/publication?id=17983