Fonte:
La Stampa
Autore:
Serena Riformato
“Non idealizzare né demonizzare i giovani Boicottare nega il senso delle università”
Il costituzionalista: I valori devono essere indirizzati a un impegno costruttivo, non distruttivo Ie proteste partono da venature di antisionismo che prima o poi diventano forme di antisemitismo
Nel Giardino dei Giusti di Villa Pamphilij a Roma, davanti ai due ulivi in onore di Giacomo Matteotti e Aleksej Navalny, il professor Giovanni Maria Flick, costituzionalista ed ex presidente della Consulta, ha pensato al rapporto fra democrazia e contestazione. Ha pensato, soprattutto, agli studenti dell’Università Sant’Anna di Pisa incontrati qualche giorno fa: «Di fianco agli Alberi dei Giusti, sarebbe necessario piantare gli Alberi di Conoscenza e Scienza e quelli di Libertà e Democrazia».
Negli atenei italiani proseguono le proteste dei ragazzi – spesso condivise dai professori – contro il bando del Ministero degli Esteri perla collaborazione con gli istituti israeliani. Che idea si è fatto di quanto sta accadendo?
«Vorrei fare una riflessione preliminare: bisogna dare ascolto a quello che chiedono i giovani e domandarci perché ce lo chiedono. Senza idealizzare né demonizzare il loro attivismo. Dopo i fatti di Pisa a febbraio, mi ha colpito una ragazza che in consiglio comunale aveva detto: “Se ascoltaste le nostre voci e le ragioni, capireste che non siamo vandali, ma lottiamo per una causa comune, siamo i figli e il futuro di un Paese democratico”. Non dimentichiamoci: tenere in primaria considerazione “l’interesse delle future generazioni” è un obbligo imposto dall’articolo 9 della Costituzione nella sua recente riforma».
E se quelle voci da ascoltare chiedono l’interruzione di alcune specifiche collaborazioni con Israele?
«Qualsiasi boicottaggio, perdipiù in termini generali sulla cooperazione scientifica, è in contraddizione palese con il concetto stesso alla base delle università. Sono nate ed esistono per garantire pluralismo, neutralità, dialogo e approfondimento. Ritorno con la mente al pensiero di Karl Popper sull’importanza della conoscenza come strumento fondamentale per la convivenza pacifica. La scienza è una delle poche attività umane che è sempre e comunque un fattore di unificazione. Non separa. I suoi ideali sono quelli della democrazia liberale».
La mozione della Normale di Pisa chiede di «riconsiderare» il bando del Maeci alla luce del rischio che le ricerche abbiano anche applicazione militare. È un aspetto di cui tener conto?
«Il tema del “dual use” è complesso. E lo è ancor di più da quando con l’intelligenza artificiale si sono messe a punto nuove forme di guerra tecnologica ancor più ambigue del nucleare e delle armi chimiche, su cui era nata la discussione. Dove e quando c’è una possibilità esplicita di applicazione militare, può essere opportuno decidere di non collaborare, se ci si appella all’articolo 11 della Costituzione. Ma è una decisione di tipo politico. Mentre le nazioni e i popoli si fanno la guerra, la scienza cerca di sviluppare, attraverso il confronto tra tutti gli studiosi, un sistema di democrazia, di convivenza e di progresso».
È possibile che gli studenti pongano un tema importante – il cessate il fuoco a Gaza – e soluzioni sbagliate?
«Non è il caso di attribuire ai giovani contestatori una totale credibilità intellettuale che possono non avere per la loro inesperienza o riconoscergli una superiorità morale dicendo che non è tollerabile il metodo, ma sono giusti gli ideali. Mi suona sgradevolmente come il vecchio ragionamento dei “compagni che sbagliano”. I valori devono essere indirizzati a un impegno costruttivo, non distruttivo. Certo, è più che ragionevole esprimere il proprio dissenso rispetto a una situazione in cui l’uso delle nuove armi di distruzione comporta il coinvolgimento di una massa degli innocenti come una reazione spropositata a un attacco terroristico, per quanto drammaticamente inaccettabile».
In alcuni casi i collettivi hanno negato la parola a chi la pensava altrimenti. È una contestazione legittima?
«No. L’intolleranza è una forma di violenza, per quanto non fisica. L’università deve creare una cultura plurale».
Lei vede venature di antisemitismo nelle proteste?
«Assolutamente. Partono da venature di antisionismo che prima o dopo si risolvono in una espressione di antisemitismo che alla fine si ricollega all’antigiudaismo. Assolutamente inaccettabile».
Ha parlato di “non idealizzare né demonizzare”. Fratelli d’Italia invece ritiene che l’eccessiva tolleranza verso le proteste universitarie porti al rischio di terrorismo rosso. È credibile?
«Io non credo che il terrorismo sia nato dalle università nemmeno negli anni ’70. È un fenomeno che si è sviluppato per altre ragioni in un Paese in cui per troppo tempo non abbiamo prestato attenzione ai diritti sociali».
Di cos’altro ha parlato con gli studenti dell’Università Sant’Anna?
«Abbiamo discusso della vicenda pisana dei manganelli a fine febbraio. Si è cercato di fermare i giovani delle scuole secondarie con violenza, nonostante non ci fossero particolari profili di sicurezza da tutelare. Sul tema rimane impeccabile il monito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: l’autorevolezza della polizia non si misura con l’uso della forza e l’uso dei manganelli sui ragazzi è sempre il segno di un fallimento».