Fonte:
https://www.avvenire.it
Autore:
Riccardo Maccioni
Rav Arbib: Sull’antisemitismo troppo abbassata la guardia
Intervista. Il rabbino capo di Milano: una forma particolarmente preoccupante è quella che si maschera da antisionismo
Mai dare niente per scontato. O abbassare la guardia. È necessario invece vigilare con attenzione, calibrare bene le parole, imparare a conoscersi in profondità, valorizzando le rispettive differenze. Ogni anno la Giornata del 17 gennaio punta proprio a questo, a sottolineare l’importanza del dialogo ebraico-cristiano, calandolo, anche, nell’attualità in cui si è immersi. Cioè oggi nuovamente pandemia, preoccupazione per la diffusione del contagio, rischio di chiusure. Un clima cui fa ampio riferimento il Messaggio della Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo, in cui si evidenzia l’importanza che le religioni superino il rischio della «depressione» e «dell’autoreferenzialità difensiva» per rafforzarsi nell’impegnativo compito di generare speranza. Un invito fatto a partire dalla “Lettera agli esiliati”, in cui il profeta Geremia, recita il documento, sembra reinterpretare la condizione del popolo di Israele, «quasi si trattasse di un nuovo esodo». Popolo che «proprio in quella condizione drammatica» ritrova il senso della propria vocazione.
«Sinceramente non condivido l’interpretazione data nel documento – spiega rav Alfonso Arbib, rabbino capo della Comunità ebraica di Milano e presidente dell’Assemblea rabbinica italiana –. Non si tratta di un esodo, l’esodo è l’uscita da una schiavitù verso la libertà. Quello di cui parla Geremia è un esilio, così è percepito nella tradizione ebraica e così è visto dall’ebraismo da migliaia di anni. Ci sono vari giorni all’anno in cui ricordiamo la distruzione del Santuario e l’uscita verso l’esilio. Credo che interpretare questo come un esodo sia estremamente pericoloso, può indurre a pensare che Geremia inviti a tagliare il rapporto con la Terra d’Israele. Non è così. Questo rapporto è fondamentale, lo è oggi come lo è stato nel passato. Gli ebrei hanno pregato ogni giorno, per tre volte al giorno, per il ritorno a Sion. Questo elemento è un elemento fondamentale dell’identità ebraica. Certo, Geremia invita a vivere il proprio ebraismo anche all’interno dell’esilio ed è quello che hanno fatto gli ebrei nel corso della loro storia. Invita anche a cercare il bene della nazione in cui vivono e questo è un altro elemento fondamentale del rapporto dell’ebraismo con le nazioni in cui hanno vissuto; ma questo non toglie che l’anelito al ritorno a Sion sia un elemento fondamentale e imprescindibile della tradizione ebraica ed è tanto più vero oggi dopo che questo sogno millenario si sia realizzato».
Il Messaggio per la Giornata del 2022 è stato approvato in sede di Consiglio permanente. Un’ulteriore conferma dell’importanza data all’appuntamento del 17 gennaio.
Rappresenta un passo avanti significativo. Tuttavia, accanto a questa positività, riscontriamo degli aspetti critici nel metodo di scelta e presentazione del testo biblico. Nelle numerose sessioni precedenti il tema su cui discutere era stato concordato sempre preventivamente tra le due parti, inoltre veniva pubblicato un opuscolo-guida che conteneva una riflessione cristiana insieme a una ebraica. Quest’anno il tema è stato scelto unilateralmente e nel testo di presentazione non sono previsti interventi a due voci. Riteniamo che sia necessario ritornare a una maggiore condivisione. Ci auguriamo che si possa in tal modo continuare a costruire insieme, in franchezza, collaborazione e amicizia.
Parlando di attualità sociale, si assiste un po’ in tutta Europa a una pericolosissima ripresa dell’antisemitismo: abbiamo abbassato troppo la guardia?
Credo proprio di sì, abbiamo probabilmente creduto che dopo la Shoà la ripresa dell’antisemitismo fosse impensabile. Ma i segnali c’erano tutti. L’antisemitismo non ha mai cessato di esistere. Oltre all’antisemitismo di stampo neofascista e neonazista che è sempre esistito e che adesso in maniera preoccupante rialza la testa, esiste un nuovo antisemitismo spesso mascherato da antisionismo. Particolarmente pericoloso perché chi lo pratica si sente legittimato da una supposta difesa dei diritti dei più deboli.
Da cosa cominciare per frenare queste tendenze?
Credo sia fondamentale combattere questa legittimazione, smascherarla per quella che è, cioè una riedizione riveduta e corretta dell’odio antiebraico che purtroppo ci accompagna da millenni.
Dall’altra parte vediamo no vax e no green pass che, per portare avanti la loro protesta, arrivano a paragonarsi ai deportati nei campi di concentramento. Com’è possibile che accada?
Ritengo ovviamente ridicolo e vergognoso fare questi paragoni ma ritengo anche che dobbiamo porci alcune domande sul processo di banalizzazione della Shoà che è stato praticato da molti. Nel corso degli ultimi anni si sono paragonate alla Shoà tutte le sofferenze e tutte le persecuzioni e la si è anche usata a fini politici. Naturalmente tutte le persecuzioni vanno condannate e combattute e ogni sofferenza va rispettata e non banalizzata, ma la Shoà conserva un elemento particolare e unico che non va mai negato. Con i no vax siamo a una strumentalizzazione che ho il dubbio se definire ridicola o inquietante.
Quale dev’essere il punto di partenza per iniziare in modo corretto il dialogo ebraico-cristiano? E le agenzie educative cosa possono fare?
Il dialogo ebraico-cristiano è estremamente importante come del resto lo è il dialogo interreligioso in genere. Oggi diamo tutto per scontato ma come sappiamo non è sempre stato così. D’altra parte il dialogo è complesso, ci sono fondamentali differenze tra le religioni che non solo non vanno negate ma vanno valorizzate. Non dobbiamo aspirare a creare una specie di religione universale e a predicare concetti che, a forza di essere semplificati, rischiano di diventare banali. Vorrei inoltre mettere in rilievo un punto che rischia di essere critico ed è il rapporto con lo Stato e la terra d’Israele. Credo sia fondamentale sottolineare che per noi questo rapporto è estremamente importante e il dialogo non può prescindere da questo rapporto. Bisogna anche mettere in rilievo i punti comuni che credo possano essere soprattutto la solidarietà e l’impegno attivo nel sostenere chi ha bisogno di aiuto.