Fonte:
Corriere della Sera
Autore:
Paolo Conti
«Gesto di sensibilità Dover rivedere le bandiere bruciate proprio il 27 gennaio era davvero troppo»
Il leader degli ebrei romani: evitato l’oltraggio
ROMA Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica romana. Che cosa pensa del rinvio delle manifestazioni pro Palestina convocate per sabato 27 gennaio, cioè per il Giorno della Memoria? Lei aveva rivolto un appello alle istituzioni…
«Siamo davvero contenti che siano state riconosciute le nostre ragioni. Vogliamo ringraziare le istituzioni, a partire dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, e le articolazioni del suo dicastero. C’è stata molta sensibilità».
Forse non era scontato?
«No, non era scontato. Ed è stata una decisione giusta, di buonsenso. È stato evitato un grave oltraggio nel Giorno della Memoria dedicato al ricordo della Shoah: è una ricorrenza, in ogni anno e in tutto il mondo. In Italia c’è anche una legge istitutiva. Sarebbe stata una sconfitta per tutti. Aver scelto il 27 gennaio per la manifestazione era una decisione evidentemente provocatoria da parte degli organizzatori. Abbiamo già visto a Vicenza cosa può accadere in queste circostanze con la degenerazione in violenza».
Il ministro Piantedosi ha ricordato che «la libertà di manifestazione del pensiero e lo svolgimento di manifestazioni pubbliche hanno una sacralità intrinseca che può essere compressa o limitata solo se ci sono motivi seri di ordine pubblico».
«Infatti noi non abbiamo chiesto di vietare le manifestazioni in quanto tali. Eppure abbiamo assistito a scene tremende: bandiere israeliane bruciate in strada, applausi ad Hamas, cioè agli assassini dell’assalto del 7 ottobre scorso, canti e balli in cui si invitavano a uccidere gli ebrei in quanto tali. Ma dover assistere a tutto questo nel giorno in cui vengono ricordati i sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti nei campi di concentramento ci è parso davvero troppo. Manifestare è un conto, ma farlo proprio in quel giorno è un’altra storia».
Gli organizzatori avevano scelto una frase di Primo Levi, lo scrittore sopravvissuto ad Auschwitz, l’autore di «Se questo è un uomo»: «Comprendere è impossibile, conoscere è necessario perché ciò che è accaduto può ritornare». Cosa ne pensa?
«Una scelta spaventosa. Primo Levi ha concluso la sua vita, come sostengono in molti, suicidandosi. Negli ultimi anni era amareggiato. Era convinto che il suo assiduo lavoro di testimonianza sulle atrocità naziste non fosse servito: temeva che avrebbero potuto ripetersi, accadere di nuovo ovunque. Utilizzare le parole di un ex deportato sopravvissuto ad Auschwitz, che ha testimoniato la sua storia per anni e poi ha deciso di togliersi la vita per il timore di aver operato invano, è semplicemente terribile».
Come vi comporterete quando si svolgeranno, dopo i rinvii, le manifestazioni pro Palestina?
«Come ci siamo sempre comportati con le manifestazioni già avvenute in passato: nel rispetto delle leggi, anche se in disaccordo con le opinioni altrui».
Alcuni studenti dell’università di Roma Tre, rivolgendosi ai relatori per l’evento dedicato al Giorno della Memoria, hanno paragonato ciò che sta avvenendo a Gaza a quanto avvenne nel ghetto di Varsavia sotto il nazismo. Lei cosa pensa?
«Che nei ghetti nazisti gli ebrei erano stipati e chiusi scientificamente, e in condizioni disumane, per essere assassinati. E che da Gaza sono usciti gli assassini che il 7 ottobre sono andati in Israele a uccidere con inaudita brutalità ancora gli ebrei nel nome di un odio profondissimo».
La tragedia del Medio Oriente continua. Che clima avvertite intorno a voi, come ebrei italiani?
«Di grande solidarietà e di grande attenzione da parte delle istituzioni con prese di posizione molto mature e coraggiose. Per questa ragione ci sentiamo fieri di essere ebrei italiani. Può apparire propagandistico o retorico, ma è proprio così: la solidarietà ci riscalda il cuore. E davvero ci fa fieri di essere ebrei italiani».