Fonte:
Libero
Autore:
David Zebuloni
«L’antisemitismo esiste ancora nell’antisionismo»
La scrittrice scampata alla deportazione nazista del 1943 descrive l’orrore provato: «Nel massacro del 7 ottobre ho riconosciuto atrocità del tutto simili ai forni crematori e ai pogrom. Ma i progressisti colpevolizzano le vittime»
Lia Levi, l’eterna bambina e basta, nonché una delle scrittrici più amate d’Italia, già vincitrice del Premio Strega Giovani, ha compiuto da poco novantadue anni, dimostrandoci ancora una volta che l’età non è altro che un numero. La voce della scrittrice scampata alla Shoah risulta oggi più chiara e lucida che mai. Così, anche il suo impegno morale e civile. In questi giorni, da nonna instancabile quale è, Levi gira l’Italia in lungo e in largo per incontrare i giovani e i giovanissimi, per trasmetter loro la sua Memoria, per cercare di scuotere le loro coscienze, anche attraverso il suo ultimo libro Insieme con la vostra famiglia: 16 ottobre 1943 – La grande retata di Roma (Edizioni e/o). Dopo la strage avvenuta in Israele il 7 ottobre, tuttavia, qualcosa sembra essersi incrinato nel suo innato ottimismo. Una nuova ombra copre il suo viso, oscurandone persino il dolce e saggio sorriso. È l’ombra dell’antisemitismo, risorto in tempi record in Italia e in Europa. Una minaccia che ci riporta indietro nel tempo, alla stella gialla sul cappotto. Un tempo, una minaccia, che credevamo appartenere solo al passato, ma che risulta essere, invece, più attuale che mai.
Signora Levi, quali nuove consapevolezza hanno portano nella sua vita questi novantadue anni così importanti?
«Non sono gli anni a portare nuove consapevolezze, ma gli eventi vissuti in quegli anni. Quando ne avevo compiuti novanta, mi hanno fatto una grande festa e ne sono stata molto contenta. Sai, più che uri età, quel traguardo, è una bandiera. Due anni in più, dunque, non fanno una grande differenza, a contare è il tormento di queste ultime settimane che sto vivendo come un vero dramma. Non è un dolore che si può tenere sotto controllo. No, è un’angoscia incontrollabile questa».
II tempo rende più pessimisti o più ottimisti?
«Anche in questo caso, non è il tempo, ma quanto è avvenuto il 7 ottobre. Io sono di natura abbastanza ottimista. Anzi, mi considero in qualche modo una combattente. Se c’è qualcosa che non va, cerco di reagire. In questo caso è diverso. È successo qualcosa di incredibile, qualcosa che ha stravolto tutto».
In Italia e in Europa vediamo il risorgere di un nuovo antisemitismo. C’è chi sostiene che la minaccia sia concreta e chi, invece, sostiene che sia solo frutto di un vittimismo ebraico. Lei cosa ne pensa?
«Vittimismo ebraico? Vi sembra possibile usare questo termine quando si parla di una quasi irraccontabile strage? L’antisemitismo è sempre esistito, a tratti, ma attraverso gli anni si è abilmente nascosto salvo poi riemergere sotto nuove forme. In tempi più vicini a noi, eccolo riapparire come attacco ideologico e sempre più incalzante contro lo Stato ebraico. Criticare Israele, si sosteneva, è soltanto “antisionismo” ed è, perciò, del tutto ingiusto considerarlo anche antisemitismo. Adesso però quella maschera è caduta. Gli attentatori e l’opinione pubblica cosiddetta progressista, nei loro attacchi hanno chiaramente colpevolizzato i “maledetti ebrei”».
È un antisemitismo diverso da quello che conoscevamo?
«No, è lo stesso dei pogrom e dei forni nazisti. Nel massacro del 7 ottobre ho riconosciuto atrocità del tutto simili a quelle naziste e, tornando più indietro, simili ai pogrom dell’est Europa, quando la popolazione uccideva gli ebrei e i governi facevano finta di non accorgersene. Si tratta di una strage, un vulcano che scoppia e travolge tutto».
Lei crede che l’Italia e gli italiani abbiano imparato la lezione della Shoah? Crede che oggi sappiano reagire in modo diverso all’antisemitismo?
«L’antisemitismo c’è e ha di nuovo mostrato il suo volto. Lo vediamo nelle assemblee improvvisate e nelle scuole, dove essere contro Israele è tristemente di moda, anche sei i ragazzi spesso non si rendono nemmeno conto di quel che dicono. Certo in Francia gli ebrei vivono peggio, ma la situazione è diversa perché il loro numero è più consistente. Qui siamo in pochi, quindi il paragone forse non si può fare. Quello che noto, anche da noi, è un rovesciamento. Ieri l’antisemita, il complice del nazista, era la destra fascista, anche in Italia. Adesso sembra quasi di vivere una situazione capovolta».
Ora è la sinistra a condannare Israele e gli ebrei.
«In un certo senso, si. Cosa vediamo oggi? Una destra che si rivela schierata accanto a Israele e partecipe della tragedia avvenuta il 7 ottobre. In posizione opposta, invece, una parte della sinistra che, con grande nostra sofferenza, scopriamo da tempo fortemente ostile allo Stato Ebraico. E non solo lo Stato. Si tratta del fenomeno che lo scrittore israeliano Etgar Keret definisce “paradiso progressista”, dove scatta dall’alto una specie di parola d’ordine con cui si sceglie quali Stati definire vittime e quali “malvagi aggressori”».
Per anni ci siamo riempiti la bocca delle due parole “Mai Più”. Ecco, crede che mai più sia oggi? Crede che siamo arrivati alla prova del nove?
«Sii, ed è questo ciò che mi angoscia. Israele sta rispondendo ad un attacco terroristico mirato proprio nella zona in cui c’era più amicizia e più dialogo tra israeliani e palestinesi. La guerra alla quale stiamo assistendo è venuta dopo la strage del 7 ottobre, non prima. Ci troviamo di fronte a una strage che è una ferita all’intera umanità, come è stata la Shoah. Noi tutti soffriamo fortemente per i bambini che muoiono. Nessuno di noi vuole perdere la propria sensibilità, ma dobbiamo anche renderci conto che il male va combattuto. Va scacciato. Sappiamo perfettamente che l’interesse di Hamas non rappresenta il bene del popolo palestinese. Anzi, a loro non importa nulla del popolo e di un eventuale Stato palestinese. La loro formula è un’altra: dal fiume Giordano al mar Mediterraneo, deve esserci la cancellazione dello Stato d’Israele. E come si possono sentire queste parole se non a costo di un’enorme sofferenza?»
Teme che il prossimo Giorno della Memoria, il 27 di gennaio, sarà diverso dai precedenti?
«Temo di si. Forse, al posto di ascoltarci come hanno sempre fatto, verrà fuori qualche polemica sull’oggi. Sono pronta anche a questo scenario».
Dopo aver scritto decine di libri sulla Memoria, lei ha recentemente pubblicato un libro sulla grande retata di Roma il 16 ottobre 1943. Perché ha deciso di ripescare questo ricordo?
«Perché ero molto concentrata sul fatto che fossero trascorsi ottant’anni da quel tragico giorno. Teoricamente, quando soffri per un tragico evento non dovresti aspettare una data, poiché il dolore viene quando viene. Ma è anche vero che l’anniversario è pur sempre un modo per fermare l’attenzione».
Lei vede un parallelismo tra quel 16 di ottobre e questo 7 di ottobre?
«Certo, è per questo motivo che sono rimasta così impressionata. Anche i tedeschi sfondavano le porte, entravano nelle case armati e portavano via bambini e malati. A Gaza ci sono oltre duecento ostaggi di cui bambini piccolissimi e anziani addirittura portati via sulla sedia a rotelle. È un terribile sfregio a quelli che sono i valori alla civiltà».
Lei ha detto di essere ottimista di indole e combattente di natura. Ha detto che si attacca sempre alla vita e cerca di non arrendersi mai al male. Cosa le dà speranza in questi giorni bui?
«Sai, un piano del dopo, seppur un po’ sognatore, io non riesco a vederlo. Per ora non esiste. Quindi come posso essere ottimista? Posso so- lo sperare di diventare ottimista. Ecco, questo è ciò che mi dà ancora fiducia: la speranza di poter tomare alla Speranza».