Fonte:
Moked, Il Giornale, La Stampa
“Scelte di Vittorio Emanuele III monito per le generazioni”
“I crimini del fascismo e le firme di Vittorio Emanuele III hanno rappresentato un abominio, un tragico vulnus nella storia d’Italia e resteranno un monito per le generazioni. La Costituzione repubblicana ce lo ricorda chiaramente: la sua stessa esistenza è la più eloquente sentenza cassatrice di quel periodo, del regime e dei suoi protagonisti.
Oggi, dopo 82 anni il discendente, il bisnipote Emanuele Filiberto, afferma un sentimento di ripudio e condanna rispetto a quanto avvenuto. Un lasso di tempo molto lungo. Perché ora?
Si tratta in ogni caso di un’iniziativa che è da ritenersi ad esclusivo titolo personale, rispondendo ciascuno per i propri atti e con la propria coscienza.
Né l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane né qualsiasi Comunità ebraica possono in ogni caso concedere il perdono in nome e per conto di tutti gli ebrei che furono discriminati, denunciati, deportati e sterminati. Nell’ebraismo perfino a Dio non si può rivolgere una richiesta di perdono se chi percepisce l’onta e la colpa non si è prima scusato dinanzi alla persona offesa.
La condanna morale del regime e dei suoi atti – che Emanuele Filiberto esprime oggi verbalmente per la prima volta – è stata per migliaia di ebrei, partigiani combattenti e convinti antifascisti, una bandiera e una guida per la lotta alla sopravvivenza, per la quale molti di loro hanno sacrificato la vita per la Patria.
È in ricordo di tutti loro, dei sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento, degli internati militari italiani, dei perseguitati politici, rom e sinti, disabili e omosessuali che ogni forma di nostalgia di quel regime deve essere severamente affrontata ed arginata. È verso i giovani del nostro Paese, dell’Europa che ci riunisce intorno ai valori fondamentali dell’uomo, che la condanna – non la richiesta di perdono per riabilitare il casato – va rivolta, affinché dicano il più convinto ‘mai più’.
Prendiamo atto delle parole di costernazione e ravvedimento espresse mediaticamente nelle scorse ore, in vista del 27 gennaio e vedremo, nei prossimi mesi, anni, quali azioni concrete, quotidiane possano a queste seguire con coerenza ed essere di esempio ad altri”.
È intervenuta anche la Comunità ebraica di Roma:
“Prendiamo atto delle dichiarazioni di Emanuele Filiberto di Savoia. Il rapporto con Casa Savoia, nella storia e nella memoria è noto e drammatico. Ciò che è successo con le leggi razziali, al culmine di una lunga collaborazione con una dittatura, è un’offesa agli italiani, ebrei e non ebrei, che non può essere cancellata e dimenticata. Il silenzio su questi fatti dei discendenti di quella Casa, durato più di ottanta anni è un’ulteriore aggravante. I discendenti delle vittime non hanno alcuna delega a perdonare e né spetta alle istituzioni ebraiche riabilitare persone e fatti il cui giudizio storico è impresso nella storia del nostro Paese”.
L’intervista alla Presidente UCEI
‘Savoia, perdono impossibile’
È da poco terminato lo shabbat che Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane risponde al telefono: «Ci siamo confrontati all’interno dell’UCEI, prendiamo atto dell’iniziativa di Emanuele Filiberto, ma non vogliamo spettacolarizzarla alla vigilia del Giorno della Memoria, ci sono altre persone che devono essere ascoltate. Gli suggerisco di seguire il convegno online organizzato dalla presidenza del Consiglio per il Giorno della memoria, martedì prossimo», dice in una intervista pubblicata oggi dal quotidiano La Stampa. L’erede dei Savoia, famoso al grande pubblico per le performance a Ballando con le stelle più che per la complicità della sua famiglia con il fascismo, venerdì sera ha chiesto perdono all’ebraismo italiano per la firma di Vittorio Emanuele III, il bisnonno, alle leggi razziali del 5 settembre 1938. Ed è stato così maldestro da far uscire la notizia di questa presa di coscienza rispetto a quanto successo 83 anni fa direttamente ai giornalisti venerdì sera, quando al tramonto comincia la giornata di riposo per gli ebrei.
Presidente lei era stata avvisata prima?
«Ho letto la lettera ieri per la prima volta, sapevo che voleva entrare in contatto con le comunità ebraiche ma non in termini precisi».
Chiede perdono, che ne pensa?
«Né l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane né qualsiasi comunità ebraica possono in ogni caso concedere il perdono in nome e per conto di tutti gli ebrei che furono discriminati, denunciati, deportati e sterminati. Nell’ebraismo perfino a Dio non si può rivolgere una richiesta di perdono se chi percepisce l’onta e la colpa non si è prima scusato dinanzi alla persona offesa».
Per farlo ha scelto la strada mediatica, ha sbagliato?
«Sul come si può ragionare, il concetto è che non può chiedere perdono. Il credo e la morale si dimostrano nei fatti quotidiani e nel modo di porsi tutti i giorni. C’è la condanna, ne prendiamo atto, può valere a titolo personale, non è certo un percorso di riabilitazione. Lui forse è quello che cerca, ma i crimini di Vittorio Emanuele III e del fascismo hanno rappresentato un abominio, un tragico vulnus nella storia d’Italia e resteranno un monito per le generazioni».
Pensa che Filiberto si voglia ripulire l’immagine?
«Ribadisco: noi prendiamo atto di questa sua condanna, è un punto di luce, evidentemente è una persona che ha riflettuto sulla sua esistenza e oggi esplicita un pensiero. Però questo non può riabilitare il casato, la famiglia e tutto quello che è stata la storia. Noi non possiamo essere in nessun modo i mediatori di un perdono o di una riabilitazione».
Il ripudio delle leggi razziali 82 anni dopo, come mai i Savoia non hanno chiesto scusa prima?
«Perché ora? Non so spiegarmelo. La Germania ad esempio è molto impegnata, c’è un rapporto di dialogo e di lavoro insieme sulla memoria da tanto tempo. Giovedì ho riletto la lapide al porto di Ortona dedicata alla fuga dei Savoia la notte del 9 settembre del ‘43. (“…eterna maledizione alla monarchia dei tradimenti del fascismo e della rovina d’Italia anelando giustizia…”, ndr). Fa venire le lacrime agli occhi, è un tradimento tale che prima di chiedere scusa agli ebrei dovrebbero chiederlo all’Italia».
Le leggi razziali furono l’inizio del precipizio che portò ai lager. Eppure nella lettera Filiberto parla ancora di una “firma sofferta” del re e sembra cercare delle giustificazioni ricordando la morte della zia a Buchenwald, deportata per motivi politici.
«Fa pena, non può pensare di rappresentare la storia in un modo più blando. Quanto alla firma di Vittorio Emanuele alle leggi razziali se era sul trono era lucido. Lui vuole dargli una rappresentazione umana che non esiste. Il re era responsabile, anzi che non è stato processato, neanche in contumacia».
Cosa intende quando dice che Filiberto dovrà essere coerente.
«Che non può pensare di avere un momento di exploit mediatico e dire “sono buono, sono bravo, ho ripensato al passato” e riabilitarsi con un gesto di questo tipo. Domani che succederà? Noi non diamo patenti di bravura alle persone, le persone devono essere produttrici di bene nel tempo, vedremo cosa lui farà. E lo deve fare se e perché ci crede».
Il 27 gennaio ricorre il Giorno della memoria, cade lo stesso giorno del ‘45 quando i sovietici liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Ci saranno tante iniziative in tutta Italia, anche non in presenza a causa della pandemia. Vuole suggerire qualcosa a Emanuele Filiberto?
«Noi abbiamo iniziato da novembre a preparare le iniziative del Giorno della memoria e con la presidenza del Consiglio abbiamo scelto come tema “Fascismi di ieri e di oggi”. Abbiamo voluto dedicare la riflessione di quest’anno alle responsabilità italiane del fascismo, perché purtroppo è ancora troppo sconosciuto. Non c’è abbastanza consapevolezza e perciò oggi i segnali di risveglio e di nostalgia vengono spesso sottovalutati. Questo è il convegno online che faremo martedì prossimo, la mattina, io inviterei Emanuele Filiberto a seguirlo».
Luca Monticelli, La Stampa – 24 gennaio 2021